188 Lo spirito di inerzia, di apatia, di rinunzia, intorno a lui diffuso, non incoraggiava l’uomo battagliero, che tanto aveva lottato per una causa più o meno legittima, a scendere nuovamente in lizza. I fati congiuravano contro i suoi propositi e preparavano il sorgere di una chiesa nazionale. Agli albori del sec. IX nell’ambito lagunare si annoveravano due sole sedi episcopali, quella metropolitana di Grado e quella di Olivolo. Soltanto i titolari di queste due sedi stavano a fianco dei duchi e collaboravano con essi : a essi gli altri dignitari, per ordine di precedenza, cedevano il posto. All’ arcivescovo di Grado volentieri era attribuito ancora l’onorifico nome aquileiese, e a lui era riconosciuto anche la dignità patriarcale (1), sebbene con difficoltà potesse esercitare 1’ antica giurisdizione metropolitana. Come spiegare altrimenti il silenzio delle altre sedi, se altre fossero esistite (2) ? Nella donazione all’abate di S. Servolo, concessa quando il monastero fu trasferito al titolo di S. Ilario, nel luogo e nelle pertinenze dell’ omonima cappella, con privilegi e legati a esso inerenti, si può rileggere questa realtà. Nel placito, nel quale era ratificato l’atto solenne, sedevano il patriarca Fortunato di Grado e il vescovo di Olivolo, Cristoforo. Non solo : era accordato a favore del monastero piena esenzione da qualunque onere pubblico e privato, da gravami fiscali, da servitù e da usi civici, individuali o collettivi ; era sottratto alla giurisdizione di pubblici funzionari, nell’ ordine amministrativo, di gastaldi o messi del pabtìum, e anche a quella di superiori autorità ecclesiastiche. Il decreto, che sancisce tali prerogative, nell’ ordine ecclesiastico (1) Non si può precisare in qual tempo e in quale occasione anche il presule gradense abbia assunto la designazione patriarcale. La sua era dignità arcivescovile, e come tale sempre ricordata. Sembra che tale titolo sia stato assunto, per primo, dal predecessore di Fortunato, e con questi sia diventato nonnaie, dopo che già Callisto l’aveva a sè attribuito e dopo il probabile tentativo deU’antagonista forogiuliese di introdurre nella chiesa di Aquileia i titoli di S. Marco e di S. Ermagora, preesistenti a Grado (Cfr. i diplomi carolini, non tutti autentici, per le chiese di Aquileia e Grado della seconda metà del sec. Vili, in M. G. H., Dipi, carol., I, p. 233 sg., 269 sg. ; Documenti cit., 1,56 sgg.). Forse fu conseguenza di legittima reazione alla pretese del vescovo forogiuliese, incline a contendere a Grado il diritto metropolitano prima ancora di Massenzio. (2) Cfr. Cessi, La crisi ecclesiastica cit., p. 843 sgg.