della Marina Militare. ‘283 litari virtù fossero saliti i Romani, e quanto venissero reputati dagli stessi suoi popoli, per dare alla vittoria la più grande celebrità e fama, spedì per le sue provincie araldi d’ arme a denunciare il trionfo con queste parole : « Chiunque vorrà comprare schiavi a vii prezzo venga al campo, abbondano i prigionieri: venga a festa perchè i principi romani sono stati trucidati, e quelli che sopravvivono, vogliono tornarsene a Roma. » Con queste parole artifiziose e maligne faceva colui rilevare le speranze dei Maomettani, e senza volerlo lasciava perenne documento d’ onore ai Quiriti. I quali, al rovescio dei suoi desideri, dopo tante prove di valore, non alla fuga nè al ritorno si apparecchiarono, ma ad entrar prima di ogni altro nella contrastata città. » Non intendo, no, a questo punto lasciar la mia guida, voglio dire Alberto Guglielmotti, dal quale ho tratto parola per parola il racconto; ma neppure la mole di questo libro mi concede seguire più a lungo le pratiche fra asse-diatori ed assediati; pure dirò di volo come San Francesco d’Assisi fosse condotto dagli Anconitani in Egitto a far prova di finir la guerra di Oriente per forza di ragionamento. Il Soldano, sia perchè commosso dalle serafiche parole del fraticello d’Assisi, sia perchè gli convenisse allontanare i Crociati, fece proporre un trattato di pace. Offeriva la restituzione della vera Croce, la libertà di tutti i prigionieri, il pieno dominio di Gerusalemme e di tutto il regno; tutte spese per la riedificazione delle mura alla Santa Città; però bramava mantenere Monreale ed il Craco, ma con obbligo feudale verso i re di Gerusalemme. I maggiori prelati e baroni, propendevano per la pace, non così Pelagio Galvano cardinale. Ed or riprendo la narrazione testuale del padre Alberto : « Damiata intanto sempre più stretta doveva pur venire al termine della caduta, e ve la disponevano non solo le battaglie che intorno a lei si combattevano, ma anche la peste e la fame onde era afflitta. Nondimeno ogni giorno i combattenti metteansi a nuove prove d’arte, d’astuzia e d’ingegno. Talora i Saraceni lanciavano barche di fuoco o brulotti ardenti per abbruciare i nostri ponti sul Nilo. Altre volte chetamente procacciavano introdurre soccorsi,