della Marina Militare. 479 alla città tutta cinta di doppie mura e difesa dall’eunuco Murad-Agà sangiacco di Tripoli. Il 7 del marzo 10 mila uomini sbarcarono a terra, là dove erano stati vittoriosi i Siciliani di Ruggero I re, di Ruggero di Lauria, i Romani e Genovesi in tempi anche più remoti. Sei giorni dopo la città fu presa e vi sventolò lo stendardo della lega. Nel frattempo Dragut corso di persona a Costantinopoli, era stato operoso. Mentre il Medina Celi cingeva di novelli forti la recente conquista e vi nominava a governatore Don Alvaro di Sande, Piale e Luccialì avevano salpato da Costantinopoli, s’eran forniti d’acqua e carne fresca all’isola di Grozo e forti di 80 tra galere e galeotte erano corsi a stringere di blocco i Cristiani, mentre Dragut veleggiando nel canale di Malta vegliava alla sicurezza dei compagni, ed a che niun aiuto cristiano pervenisse alle Gerbe. I collegati accortisi del pericolo che li minacciava e non ignari delle mosse nemiche, non seppero decidersi in tempo nè a tornar a casa, nè a rimanere. Di guisa, che quando fatta l’acquata ed imbarcata parte delle schiere, al mattino dell’ 11 maggio disponevansi a salpare per tornar ai porti d’armamento, trovaronsi a fronte Piale e Luccialì pronti all’ assalto. Luccialì, buon conoscitore dei Cristiani e eh’ era alla vanguardia, accortosi della confusione investì il nemico e rapidamente gli tolse 20' galere e 14 navi. Piale seguì col grosso dell’armata. Chi potè tra i Cristiani andò a rifugio dentro il forte testé costruito. Poche galere mettendo alla vela ed aiutandosi co’remi poterono sfuggire al baldo avversario. Don Alvaro de Sande, , cui diede addosso anche Dragut giunto l’ultimo, capitolò dopo due mesi d’assedio. La giornata delle1 Gerbe segua la culminazione della potenza turchesca nel Mediterraneo. Or poggiava sì alto che Luccialì poche settimane di poi tentò catturare Emanuele Filiberto duca di Savoia che stava pescando nella baia di Villafranca di Nizza e ne taglieggiò alcuni cortigiani sui quali pose le mani; ma di ciò particolarmente a suo tempo dirò. E debito dell’ istoriografo non limitarsi alla cruda narrazione dei fatti, ma ricercarne le intime ragioni. A chi legge