Conflitto tra Bossuet e Fénelon. 453 che venne diffusa in Francia ed in una traduzione italiana anche a Roma. Il 27 aprile 161)7 egli sottopose al papa la sua dottrina,1 così esprimendo la sua sottomissione: a Te, Padre santo, appartiene di dare la sentenza, a me di udire e di venerare in te Pietro che continua a vivere e a parlare e al quale non verrà mai meno la fede.* D’andare personalmente a Homa non gli venne permesso dal re,3 il quale in un autografo * chiese al papa una sentenza nella causa di Fénelon. Le autorità romane si trovarono con ciò dinanzi ad una questione che per la sua importanza per la vita cristiana non si poteva prendere alla leggiera, la cui decisione però nelle circostanze d’al-lora offriva particolari difficoltà. La scienza teologici» posteriore ha deciso nel senso che nessuno dei due contendenti aveva pienamente dalla sua parte la verità.* Si trattava di due delle più eccelse virtù cristiane, la speranza e l’amore. La speranza onora Dio in ciò che tende a lui come bene supremo dell’uomo, nel cui possesso solo possono trovare soddisfazione e beatitudine la sua mente « la sua volontà. L'amore abbraccia Iddio poche è in sè il bene, supremo, un abisso di sapienza, bontà e bellezza. < )ra Bossuet esagerò l'importanza della speranza a spese dell’amore di Dio. Fénelon levò tanto alto il disinteresse nell'amore divino, che n’ebbe detrimento la speranza. Bossuet, appoggiandosi troppo letferalmente ad Agostino, opinava che l’aspirazione alla propria beatitudine era il motivo «li ogni movimento della volontà e che perciò anche l’amore a Dio doveva avere come motivo la tendenza alla propria felicità.* Fénelon opinava che nei santi l'amore divino aveva raggiunto un grado tale che ogni riguardo al proprio io non soltanto nei singoli atti, ma anche nel complesso della sua vita interiore, era eliminato. La speranza dunque nei perfetti non avrebbe più avuta parte alcuna. In ciò Fénelon andò tropjH» avanti. jKiichè la speranza rimane un dovere cristiano e siccome, colla beatitudine dell’uomo, Dio aumenta contemporaneamente la tua glorisi, ••osi niente impedisce di aspirare alla beatitudine dal punto di vista 1 CEmmre* de Fénelon IX, Pungi 1851, 141 **.; ri«|x»ta dH Papa dell’11 giugno I 697, ivi 159. * •Taum mt iudicare, Aanctinsime Pater, menni vero in Te Petrum, ctiitM fide* nunquam deficiet, viventetn et loquentem audire et reverrri > (ivi 142). Nella commendatizia del 2 agosto I6U7 per il »uo procuratore romano t'hanterac *i legge nuovamente: « Argue, emenda, corripe, damna; hoc totum patri», hoc totum Alio gratum » (ivi 185). 1 Fénelon a Innocenio XII il 2 agnato 1697, (Enert* IX 1*4. * Del 26 luglio 1697, ivi 175; BoHCIT, L'orre*pOHiki*et Vili 520; Ri-«posta del papa del 10 settembre 1697, ivi 521. * Hakext in Étmdes CXXVII (1911) 178*».; SutCÌ in Z«-tfwAr. /«r Cai A. TXtol. 1884, 508«.. 645**.; I. Pkim k nel Frrib. KinàenUx. VII* 1988. * Harent, loc. rii. 484 493.