50 scomunica aquileiese, abbiano esercitato atti di forza per reprimere il fastidioso dissidio. Il ritiro del vescovo aquileiese a Grado deve esser considerato un gesto di prudente cautela, soltanto transitoria di fronte alle incertezze del momento. Egli fu e rimase sempre titolare di Aquileia, anche quando la speranza o la volontà di un ritorno all’ antica sede tramontarono. L’ unione dei suffraganei della chiesa metropolitana intorno alla sua persona, che interpretava la fedeltà al credo calcedonese, era salda e resistente (1). I Longobardi non si preoccuparono, nè attribuirono troppa importanza all’anomalia, che si verificava nel campo ecclesiastico, di prelati sottoposti alla propria sovranità, gerarchicamente dipendenti da una giurisdizione, che risiedeva, di fatto almeno, in territorio straniero, sotto una sovranità nemica ; nè considerarono con sospetto l’intimità dei rapporti spirituali ed ecclesiastici, che perdurarono, anche in presenza dello smembramento territoriale e politico, tra i vescovi dimoranti nell’orbita del dominio longobardo e quelli dimoranti nell’orbita bizantina (2). La stretta solidarietà fra essi esistente, rafforzata da identità di fede religiosa e da comunanza di ideale politico, non impressionò i Longobardi. Essi furono assai meno stimolati a intervenire nel dibattito religioso di quanto non fosse il governo ravennate per gli insistenti reclami pontifici. Dal tempo del vescovo Paolino a quello di Probino, a quello di Elia, la situazione ecclesiastica aquileiese non mutò troppo, tra l’indifferenza longobarda e la intermittente minaccia bizantina. I metropoliti mantennero la dimora in territorio bizantino, politica-mente a loro sfavorevole, non per inimicizia od ostilità longobarde, ma per opportunità e per elezione. (1) Ciò risulta dalla partecipazione concorde di tutti i vescovi, o quasi, della giurisdizione alle sinodi indette sotto gli auspici del metropolita e intorno a lui, da quella di Grado a quella di Marano. Cfr. Cessi, La crisi ecclesiastica veneziana al tempo del duca Orso, in « Atti del R. Ist. Ven. d. S. L. ed A. », LXXXVII, 822 ; Documenti cit. I, 12 sgg., 14 segg. (2) Si veggano gli intimi sentimenti espressi dai vescovi lombardi della giurisdizione aquileiese nella lettera diretta intorno al 591 all’imperatore Maurizio per respingere la persecuzione romana. M. G. H., Epist., I, 17 sgg. ; Documenti cit., I, 14 sgg. Cfr. Cessi, La crisi, cit., p. 820 sg.