49 Di questo turbamento, che ebbe serie conseguenze, non furono autori nè responsabili i Longobardi. Sorto prima della venuta in Italia, la loro presenza poco influì sopra il successivo sviluppo; se mai, solo incidentalmente per il manifesto disinteresse di problemi religiosi fino a che non offendessero il sentimento politico. Esso ebbe origine dalla inflessibile opposizione dei vescovi dell’Istria e della Venezia, con a capo il metropolita aquileiese, e di quasi tutte le diocesi occidentali, specialmente liguri, alla condanna pronunciata dall’imperatore Giustiniano nel 544 contro tre capitoli, che il concilio di Calcedonia non aveva voluto giudicare (la persona e gli scritti di Teodoro di Mopsuestia ; quelli di Teodoreto di Ciro contro S. Cirillo di Alessandria ; la lettera di Iba di Edessa a Maris persiano). Il concilio costantinopolitano del 553, che fu il quinto ecumenico, accettò la sentenza imperiale. Anche dopo l’adesione del vescovo di Roma, papa Vigilio prima, papa Pelagio I poi, ai canoni conciliari, anche dopo la sottomissione della maggior parte dei vescovi di Occidente, già concordi nella resistenza alle pretese orientali, quelli della Venezia e dell’Istria si irrigidirono in un atteggiamento ostile. In tal guisa si misero in conflitto non solo con il governo bizantino, ma anche con il capo della chiesa romana, che aveva riconosciuto i decreti costantinopolitani. Di qui lo scisma nel seno dell’ episcopato italico ; di qui la censura dell’ autorità ecclesiastica di Roma contro la persona del metropolita aquileiese e contro i titolari delle sedi suffraganee, denunciati come illegittimi, intrusi e scismatici. Contro essi, da papa Pelagio in poi, i vescovi romani invocarono l’intervento del braccio secolare (1). Al sopraggiungere dei Longobardi la chiesa aquileiese e i suoi suffraganei erano tutti nell’orbita dello scisma. Il patriarca Paolino, quello stesso che fuggì con i tesori della chiesa dinanzi all’invasore e riparò a Grado, era già stato dannato come scismatico ed irregolarmente eletto fin dall’origine, perchè la sinodo, nel compiere la consacrazione, aveva operato fuori dell’unità della Chiesa. Contro di lui e contro i suoi gregari papa Pelagio aveva chiesto i rigori della legge. Ma non sembra che subito gli esarchi di Ravenna, anche se colpiti dalla (1) Cfr. Paschini, Storia cit., I, 89 sgg. ; Stoppato, La chiesa cit., p. 86 sgg. ; Duchesne, L'église au sizième siècle, Paris, 1908, p. 231 sg. 4