Critiche al concordato con la Spagna. 57 sigliavano Ferdinando VI ad attribuirsi eguali diritti senza riguardo alla Santa Sede.1 Il Papa stesso fece valere di fronte al cardinale Tencin il fatto che egli aveva però salvato molto. Si era voluto, così egli scriveva, che l’erario pontificio non venisse caricato di nuovi debiti, ciò che sarebbe stato inevitabile, se avesse perduto le entrate annue senza ottenere alcun compenso. Si era provveduto che da una parte i vescovi non ritraessero alcun danno e dall’altra venisse allontanata da Roma l’infinita schiera degli accaparratori spagnuoli, i quali erano « api senza regina » e conducevano una vita scandalosa. Si era inoltre tolto di mezzo il fenomeno schifoso delle cedole bancarie le quali erano più proprietà di una banca che della Dataria. Così il Papa non aveva più bisogno di minacciare la chiusura della Dataria, ciò che era avvenuto per quattro volte durante la sua vita.2 Tuttavia il rimprovero che Benedetto XIV sia stato troppo debole di fronte alla Spagna continuò a farsi sentire. Nè ciò può recar meraviglia poiché la perdita della Santa Sede era grande 3 ed il guadagno del cesaro-papismo colossale.4 In favore di Benedetto parla però la circostanza che esistevano di fatto gravi abusi i quali, secondo la descrizione dei negoziatori, minacciavano di offrire il pretesto ad una completa rottura. Benedetto, arrivando all’estremo limite del possibile, non fece che prevenirla. 1 Ivi. Cfr. Miguelez 201, 209. 2 Archiv /. Kirvhenrecht LXXX (1900) 321 ; Heeckeben II 247 s. 3 Irreparabile dichiara tale perdita Spittler, Vorleaungen ùher die Gesch. dea Papsttums, ed. da