336 Benedetto XIV. 1740-1758. Capitolo VI. sato che al presente. La sua frase « degli uomini disobbedenti ■ capziosi » il Papa cercò poi di rettificare in un Breve al vtscov di Coimbra Michele dell’Annunciazione,1 il quale in occasione de l’invio di 18 gesuiti missionari da Coimbra si era lamentato co! Papa che le costituzioni sulle usanze cinesi e malabariche venissero interpretate come prove di un’antipatia del Papa contro i gesuiti. « Persone malevole, scrive Benedetto, lanciano la voce eh-queste parole siano scritte per i religiosi della Compagnia di Gesù ».2 Eppure egli dice soltanto quello che nel passato avevi affermato Clemente XI. Se non si vedeva nelle parole di Clemente XI una espressione di antipatia, perchè la si vuol veder nelle sue? Inoltre le sue espressioni si riferivano del tutto genericamente ai disobbedienti, gesuiti o preti secolari che fossero. Di fronte all’accusa di ostilità contro i gesuiti Benedetto si difende eoa un lungo elenco delle grazie che egli aveva concesso a quest’Ordine. • Se la Bolla potè urtare gli amici dei gesuiti, tanto più se n? offesero essi stessi. Non si consideravano costoro colpevoli di disobbedienza e il generale dovette darsi gran pena, perché le lagnane e le espressioni di malcontento non divenissero pubbliche con 1* conseguenza di dare nuovo alimento alla campagna di accuse.' In Cina Retz mandò la Bolla con una lettera d’accompagno di 25 ottobre 1742. Il superiore comunicò subito ai suoi soggetti la Bolla e la lettera accompagnatoria. Di fronte al generale eifli rilevò che i gesuiti in Cina ciroa i riti si erano tenuti alle pr«1-scrizioni dei loro immediati superiori, che quindi le forti espressioni e i biasimi della costituzione o non colpivano i ge- homlnibU' " ’ volta contendatur pro reiiicioata vlrls Socletatis iwsita fuissc ». Ivi ;,,t 3 Ivi 38«. * Ivi 3SV2-3S«. 5 • « Non sino inulta aediflcatlone perle»;! carissimam R. V« epis'“> ls Sept. ad me scriptam : ut ipiae digita quovta genuino Allo s. parenti* scusa atquc constila inllil cxliibere viddiatnr. Vtinaiu eorum slmili* "®or' nostri foverent : non maneremns certo expositi tot tanique gravlbns ii>‘ tiae accusai ioni bus. quot mine iinpetimur. Hnnc ol> causa in nihil fwp"'iU nihil diligontius commendare oouatus suiu. quain sinceram ae Addern ol»-,r tiain l>eeretoroin ac -Ouistitutionum Apostolica rum... Dolorem omnem ln«‘r stros ac lamenta eohibere non potai, cum non deessent, qui iudiearent, den®1 * tur in tompus op|>ortunitis rcici aut certe mltiori nliquo modi» confici funi tamen diligentissime ne ulluni dolori» puldicum signum daretur dodi], et ad imix-dicnduin oinncin siispicandi occasioni-m. ab adeundta *ro ^ rum cardinalium palatii consulto ahstlnul. Optandnm nunc est. ut Iltt. . ad quos observautia atque exsocutìo pertlnet, et ipsi dolori suo rnoduni l"'1 ncque sinant obligationibaa suta illiun praevaiere: sed hoc sperare luvat- r*1 cipuc ubi intellectum fuerit ipsam regia m Maicstatem protectlonem suaia uUi!l-BnUae nddixtase». ltetz a Carbone li 10 novembre 1742.