52 ranza (1). Qualche anno dopo furono scatenate persecuzioni da parte del governo ravennate, e non in risposta all’intransigenza fideistica riaffermata a Grado nel 579, ma per effetto della situazione politica (2), dopo l’avvento dell’imperatore Maurizio (583). Nel 585 papa Pelagio II iniziava contro gli scismatici aquileiesi una nuova offensiva. Egli giustificava il ritardo nel rivolgere, dopo esser stato consacrato (30 novembre 579), il paterno richiamo a correzione dei loro errori (implicita censura alla protesta gradense) causa le difficoltà dei tempi e le incursioni nemiche. La verità forse è un’altra. Per quanto grandi fossero il desiderio di rispondere all ’insolenza aqui-leiese e l’interesse di reprimerla, papa Pelagio non azzardò pronunciare parola prima di poter sicuramente far calcolo sopra l’appoggio e il concorso del governo. L’ avvento dell’ esarca Smaragdo e la pace triennale bizantino-longobarda del 585 offri occasione adatta (3) per risollevare la questione dello scisma. Esposta la dottrina romana, invitò i capi della Venezia e dell’Istria a una disanima famigliare allo scopo di chiarire ancora dell’estendersi di poteri giurisdizionali e patrimoniali sopra i lidi limitrofi (Origo cit., p. 77 sgg., 164 sgg.) e di correlative fondazioni di chiese (Origo cit., p. 78 sgg.). Tutto però è confuso e mal combinato nello svolgimento cronico e topico. (1) Il primo decennio, o poco oltre, del governo di Elia sembra esser stato abbastanza pacifico : non si registrarono durante questi anni atti di violenza o di rincrudimento intollerante. La convocazione della sinodo gradense non è determinata dalla necessità di rispondere a offese, a minaccie, o a pressioni avversarie. Riuniti i vescovi suffraganei intorno al metropolita per la consacrazione della cattedrale, colsero l’opportunità di celebrare una solenne sinodo e ribadire la loro fede calcedonese. (Cfr. gli atti in Cessi, Nova Aquileia cit., p. 588 sgg. ; Documenti cit., I, 8 sgg. ; Pasohini, Storia cit., I, 94, che imperfettamente giudica la composizione degli atti). (2) Per lo svolgimento di questa cfr. Tamassia, Longobardi cit., p. 67 sgg. ; Stoppato, La chiesa cit., p. 10 sgg. ; Cessi, Bizantini e Longobardi cit., p. 456 sgg. ; Le vicende cit., I, 146 sgg. ; Caggese, op. cit., p. 102 sgg. (3) L’allusione alla pace triennale, stipulata da Smaragdo con re Autari (cfr. Pauli Diaconi, Hist. Lang., Ili, 18), nella lettera pelagiana è evidente, nè può riferirsi alla promessa di paco fatta dai Longobardi, di cui è parola in quella del 584. Smaragdo fu inviato in Italia solo alla fine del 584 o al principio del 585, in sostituzione di Decio, ricordato nella precedente lettera pelagiana. L’ altra epistola dunque di Pelagio, qui richiamata, appartiene al 585 (Schwartz, A età condì, oecvmen., Argentorati, 1904, to. IV, voi. II, p. 105 sgg.).