320 tezze dalla prima sopresa, il duca Pietro allestì la flotta e affrontò il nemico, che risaliva lungo il litorale, all’ altezza di Albiola. Lo sconfisse e lo costrinse ad abbandonare la facile conquista, allontanando dal suolo patrio l’invasore, con maggior vigore di quanto facessero le milizie del regno sopra la terraferma (1). La triste avventura lasciò aperte ai margini del dominio ducale dolorose ferite, non meno gravi di quelle insanabili, che avevano torturato e torturavano le terre del regno (2). Il popolo reaitino fu ripetutamente chiamato in pubblico placito a sanare la penosa eredità dell’invasione. Quello a favore del monastero di S. Stefano di Aitino del 900 (3), unico superstite dal naufragio delle memorie passate, è eloquente testimonianza, almeno nelle premesse. E apparve manifesto in tutta la sua ampiezza il tragico pericolo, che incombeva sopra Rialto. L’inviolabilità dei ripari naturali, alla quale fiduciosi e sicuri si abbandonavano gli abitanti della laguna, era stata per la seconda volta smentita. Solo (1) Iohan. Diac., Chronicon cit., p. 130 sg. : fuit namque hec persecutio in Italia et Venecia anno uno (899). rex igitur Berengarius, daiis obsidibus ac donis, predictos Ungros de Italia recedere fex.it cum onmi preda, quam ceperant. (2) Schiapabelli, I diplomi di Berengario cit., p. 123, 137, 249, 263, 266, 269, 273. (3) Lazzarini, Un privilegio cit., p. 991 sg. Converrà però rilevare che il privilegio è solo occasionalmente connesso con l’invasione ungara, perchè l’oggetto della concessione è anteriore a essa e non compenso e ristoro dei presunti sofferti danni. È vero che il placito sedeva per cordoquere de tantis malis, quelli cioè oocorsi, dutn crudelissima gens Ungrorum venisset et tam prò suis quamque et in nostris finibus plurimas depredaciones atque incendia perpetrassi seu homicidia multa fecisset devastavessetque episcopales incendia. Si fece avanti l’abate di S. Stefano di Aitino cum gemitu et cordis dolore, preferre damma eiusdem cenobij sui et quomodo possessiones ipsius depopulantes et coloni pari-ter interfecti vel efugati ab Ungris. Egli però non chiese risarcimento o restauro dei danni sofferti, bensì il perfezionamento del privilegio abbozzato dal duca Orso e dal figlio suo e rimasto sospeso per la morte di quello, in virtù del quale era esonerato, egli e i coloni, da ogni censo o servizio a favore del vescovo di Tor-cello per la selva di Ceggia, secondo vecchia esenzione confermata dal duca Orso, ed era sottratto alla giurisdizione del vescovo torcellano e per la elezione e per la consacrazione e per il governo delle chiese dipendenti dal monastero. Tutto ciò dunque non ha relazione diretta con l’invasione ungara ; è coronamento di uno stato di diritto disposto molto tempo prima. A nessuna opera di ripristino si provvede, ma si coglie l’occasione propizia per condurre in porto a proprio vantaggio un problema, che era rimasto a lungo sospeso.