440 Alessandro VII (1655-1667). Capitolo V. cercarono di aiutarsi con altri mezzi. Quando il 7 e 10 dicembre vennero lette le lettere alla Sorbona e i sei commissari volevano continuare nella loro relazione, i giansenisti cominciarono un tal chiasso da rendere impossibile la lettura. Ora i vescovi presenti ottennero un decreto reale il quale sotto pene gravissime proibiva di parlare fuori turno o d’interrompere un oratore. Ma se nessuno poteva venire interrotto, con ciò si offriva proprio ai giansenisti il mezzo di protrarre all’infinito la decisione. Infatti il giansenista Brousse per dimostrare l’incertezza dell’umana conoscenza tenne una vera lezione di astronomia, cosicché il suo solo discorso riempì due intiere sedute, senza arrivare alla fine;1 ma ciò era troppo anche per i più pazienti. Nella prossima assemblea accadde ciò che nella storia della Sorbona non s’era finora udito mai: il cancelliere Séguier comparve nella seduta in solenne corteo cogli alabardieri ai fianchi e dichiarò di essere mandato dal re per mantenere l’ordine tradizionale. Brousse però senza turbarsi prese di nuovo la parola e si diffuse intorno alla differenza fra menzogna e illusione. Il cancelliere lo richiamò all’argomento e ora Brousse cominciò a dimostrare che le cinque proposizioni non .si trovavano in Giansenio. Fu chiamato spesso dal cancelliere alla vera questione; egli si lamentò della mancanza di libertà di parola e chiuse infine coll’affermazione: essere offensivo per il Papa il considerarlo infallibile nel giudizio su fatti.2 La presenza del cancelliere impedì che gli altri oratori,3 favorevoli ad Arnauld, si dilungassero anch’essi all’infinito. Essi sostennero che nessuno ancora aveva trovate le cinque proposizioni in Giansenio, che in realtà nessuna delle proposizioni era sua, che il papa su ciò nulla aveva definito e niente su ciò poteva definire con infallibilità. Manessier aggiunse ancora che i consultori romani non avevano avuto alcun incarico di indagare in qual rapporto stessero le proposizioni con Giansenio.4 Di fronte a ciò la maggioranza dell’assemblea considerò queste questioni già decise dalle manifestazioni papali e vescovili e rifiutò »li entrare su esse in una nuova discussione. Il vescovo De la Barde di Saint-Brieuc, il vescovo Godeau di Vence, Bourgeois e il parroco Rousse di S. Rocco in Parigi fecero vani tentativi di conciliare le due opinioni che si escludevano recisamente l’un l’altra. Sembra però che agli sforzi dei vescovi Vialart
  • di Manessier, ivi 476 ss., di Perrault ivi 480 ss. Cfr. ivi XIX Lvn ss. 4 Ivi 476.