220 Sisto V. 1585-1590 — Libro I - Capitolo IV. Narrasi, elle la sua irritazione fu così grande, che non poteva nè mangiare nè dormire.1 Egli giudicò in maniera severissima l’operato del Guise, che poteva gettare Enrico III nelle braccia degh Ugonotti, e che distruggeva 1’ unione dei cattolici. D’altra parte criticò pure la vile condotta del Re. Nel modo più franco si espresse il papa con Gritti l’ambasciatore di Venezia. Questi espose al papa che il Senato temeva, che il re di Francia per sottrarsi alle sue ansietà, possa iniziare una politica dannosa alla causa cattolica, alla qual cosa alludeva il linguaggio dei suoi servitori. « Il pontefice sospirando disse : « Hanno quei Signori (di Venezia) grandissima ragione di dolersi, perchè sono verissime tutte le considerationi che ci avete fatte, et a noi duole tutto quello che passa, ma ci piace che quei Signori si dogliano, perchè quando il dente è guasto et non duole l’huomo non cura, ma quando duole vi rimedia. Il regno di Francia è regno nobilissimo, da lui la Chiesa ha sempre hauto molti benefici ; noi l’amiamo et l’habiamo sopramodo caro, et ci consola udire che la Signoria gli abbia la medesima affetione » et qui fermato di nuovo comminciò : « In questo proposito vi diremo quando il nontio nostro andò in Francia, havendo noi da alcuni Gesuiti con fondamento inteso che la regina d’Inghilterra non si mostrava aliena di ritornare alla religione catohca, sapendo noi che fra il re et lei era pure alcuna intelligentia, commettesimo al noncio di dover far ufficio con il rè di Francia che commettesse alli suoi ministri, per mezzo di quali era solito di trattare con la regina, che invitassero essa regina a ritornare all’obbedientia di Santa Romana Chiesa, perchè noi le promettevamo non ostante la privatione del regno fatta contra di lei da Pio V, di rimetterla nel regno, darle tutte le satisfationi che ci havesse dimandate, publica-re per rè successore chi fusse piaciuto a lei, diffenderla et contra i suoi sudditi et contra il rè di Danimarca, del quale diceva temere, et in somma che non le haveressimo negata cosa alcuna. Il nontio fece l’ufficio con il rè di Francia et a lui non parve far altro. Dapoi fussimo ricercati dal rè di aiuti, et noi gli offerissimo venti cinque milla fanti pagati da noi et otto mila cavalli, gente tutta sopra la quale non saria caduto alcun sospetto, et della quale si haveria potuto molto ben fidare, con quali haveriamo castigato et gli heretici et li ribelli, et si saria ridotto in stato di esser patrone assoluto del suo regno. Et gli facessimo questa offerta, perchè consideravamo che il dargli aiuto di tre in quattro mille fanti era un dargli occasione di fare una pace con gli heretici et mettersi in obligo da li a poco tempo di tornare a far una guerra, si come era seguito per 1 Vedi L’Epinois I, 179.