XVI gliardo un’ ambasceria. E il Dandolo venne a Trieste e con solenne pompa, sulla piazza maggiore, si fece prestare il sacramento di fedeltà dal gastaldo Vitale, dai giudici Pietro, Vodolrico e Leone, e da 346 cittadini, dei quali ci sono serbati i nomi, sonori e gentileschi la maggior parte, sebbene parecchi suonino plebei o addirittura triviali. Il fatto che il Doge chiese il giuramento nominale può significare che egli, non considerando perfetto e indi-pendente il Comune, voleva maggiori garanzie. In ogni modo quei 346 uomini non potevano costituire tutta la popolazione atta alle armi; giova piuttosto considerarli i soci del populus, i discendenti di coloro che avevano stretto il primitivo patto giurato. Ma non passano tre lustri, e il Comune ha ormai compiuta la prima tappa del suo cammino. Un documento del 1217 ci mostra, fra i testimoni d’ una rinunzia del Vescovo di Trieste a favore del Capitolo, Mauro, Terge-stinus potestas. Nel resto d’Italia il podestà si trova in fondo a un lento processo di separazione del diritto pubblico e del privato, ancora connessi e confusi sotto i consoli; è quasi corollario al primo acquisto, fatto dal Comune, dei diritti di sovranità, e in esso s’esprime la compiuta unità giurisdizionale e territoriale. 24) A Trieste, come si vedrà, 1’ avvento del podestà non coincide con la completa unità giurisdizionale, nè indica l’indiscussa conquista di tutti i poteri sovrani. Tuttavia esso segna una data importante assai nella storia del Comune. * * * A rafforzare il Comune aveva contribuito certamente la pace di Costanza (1183), le cui norme valevano per tutto il regno d’Italia.26) E non c’ è dubbio sull’ appartenenza di Trieste al Regno, provata dal privilegio di Lotario, dall’ atto del 1177 tra Federico I e i Veneziani, che annovera l’Istria tra le province del Regno e da chiare parole del Capitolo triestino, scritte nel 1204 e ripetute nel 1209.20) Per tutto il secolo XIII il Comune, con opera tenace e abile nello sfruttare ogni circostanza propizia, s’ adoperò a integrare la sua sovranità. A Mauro non seguì una serie continua di podestà. Può darsi che il Vescovo, riguadagnando in parte il terreno perduto, riuscisse a reimprimere al capo del Comune il carattere prevalente di suo delegato, ridandogli il prisco nome; anche può darsi che il Comune alternasse al governo podestarile quello dei tre consoli o rettori, consuetudine durata sì a lungo che ancora gli statuti trecenteschi lasciavano arbitro il maggior consiglio di deliberare di volta in volta se convenisse eleggere un