La servitù della gleba nella lett. russa 71 nell’aria. « Che male è questo? » — dicono allora gl’indagatori coscienziosi che hanno l’abitudine di considerare un oggetto non da un lato solo, ma da tutti i lati — questo non è male, ma semplicemente l’ordine delle cose!» « E in questo modo si tranquillizzano. Chi può assicurare che a quest’ordine di cose non sarebbe stato imposto dal destino di prolungarsi ancora per molti anni, se una forte volontà non ci avesse richiamati fuori dalle tenebre di una bonarietà sanguinosa e dall’abisso di un’allegria perfida? — Ripeto: era un incubo terribile ed opprimente, nel quale erano egualmente terribili gli oppressori e gli oppressi. » Chi non rileva l’atroce, forse anche non voluta, ironia delle espressioni « bonarietà sanguinosa » ed « allegria perfida ». — E pure sarebbe stato assai difficile dire meglio quel che era l’aspetto morale dei proprietari di servi della gleba. Un altro scrittore che dipinse con profonda comprensione della realtà la vita della campagna russa dopo l’abolizione fu il più grande novelliere etnografico che abbia avuta la Russia: Ghlieb Uspiènskij, il quale in un romanzo « La rovina » volle mostrare come l’abolizione della servitù avesse prodotta lo rovina di una cittadina di provincia che era stata in pieno fiore durante i periodi in cui la servitù dominava. Si capisce che la rovina, dipinta da Ghlieb Uspiènskij, è dovuta al fatto che ormai tutta la vita russa era così penetrata, imbevuta di quella tragica istituzione da non potersi riprendere al contatto d’una vita diversa, fosse anche questa più pura e più sana, che non avrebbe potuto fiorire che sulle rovine dell’altra. I pochi punti qui accennati delle ripercussioni che la servitù della gleba ebbe nella letteratura, vogliono servire soltanto come punti di riferimento. Nella servitù della gleba