58 La servitù della gleba nella lett. russa evidenza. Ma il modo come questa tristezza trovi la sua forma nelle avventure che vorrebbero essere comiche di Cicikov, questo fa sì che il romanzo o poema che sia va forse oltre le intenzioni dell’autore. E stato da qualche critico notato che il demone del riso lottava in Gogol col « profeta », quale egli voleva essere, ma è certo che in questa prima parte delle « Anime morte » nè il demone del riso nè il profeta hanno il sopravvento. La vittoria appartiene alla più perfetta fusione tra il contenuto che è dato dalla servitù della gleba con tutti i suoi ridicoli orrori, e la forma che di quel ridicolo e di quell’orrore ha tutte le sfumature. Dalla visione della servitù della gleba nasce nella letteratura russa una delle più perfette opere d’arte, ch’essa abbia mai creato. «Com’è triste la Russia!». Non si era quasi accorto Puskin, con la forza del suo genio, di questa tristezza. Come poteva accorgersene la Russia semi addormentata ed oppressa ? Ma « Le anime morte » non erano un quadro riprodotto dal vero, e non erano neppure soltanto la realtà, come poteva vederla e sentirla ognuno intorno a sè; era la realtà dell’ arte. Solo così il predicatore poteva aspettarsi che la predica raggiungesse il suo scopo. E sebbene indi- , rettamente, l’opera di Gogol fu come un ben vibrato colpo di piccone all’opera di demolizione di uno stato di cose che ogni giorno diventava più insostenibile. Da quel giorno (1842) tutto il ventennio che precedette la emancipazione dei servi dalla gleba fu nella letteratura un succedersi di tappe sempre più efficaci per il raggiungimento, cosciente o incosciente che fosse, dello scopo ultimo. I racconti di Grigoròvic: « Il villaggio » e « Antonio lo sventurato » sono del 1846-47, i «Racconti di un cacciatore» di Turghéniev del 1852, i racconti di Marco Vovciòk dello stesso decennio, il romanzo «Mille anime» di Pìssemskij del 1858;