Sul teatro di Cèchov 27 di Cèchov rimaneva quello del « Cechontè » (1) dei « Racconti variopinti » non potevano evidentemente nascere per la scena che delle farse sul tipo dell’ « Orso » e della « Domanda di matrimonio ». Bisognava che egli rimmziasse a veder la vita sotto la veste della caricatura, bisognava che arrivasse a quella perfezione di conoscenza dell’anima del suo popolo, per cui non solo questa o quella classe, ma i russi tutti in generale potevano ritrovarsi e riconoscersi nei suoi personaggi e risoffrire nuovamente la nuova sofferenza di cui prima non erano consci, e a quel dominio della vita, che si ha soltanto risentendo l’idea da cui essa è penetrata. Per questo processo appunto i suoi drammi sono stati rav vicinati a quelli di Ibsen. Il ravvicinamento è da un certo punto di vista giusto. C’è, per esempio, una lettera di Ibsen che rivela un processo interiore, simile a quello'di Cèchov, dopo che questi si è liberato dalla maniera novellistica, incompatibile con la sua concezione del teatro. « Tutto ciò che ho scritto — dice infatti Ibsen — è in stretta relazione con ciò che ho vissuto intimamente, anche se non esteriormente. Ogni nuova opera, per me, ha avuto lo scopo di liberarmi e purificarmi lo spirito. Giacché non si è mai del tutto superiori alla società cui s’appartiene : vi si è sempre in qualche modo corresponsabili e correi ». (Ibsen, lettera del 16 giugno 1880). Ora questo è precisamente il processo interiore che accompagna la creazione teatrale di Cèchov, e che ne spiega, come vedremo, il successo. È necessario però segnare il punto di passaggio, non soltanto cronologico, ma spirituale dall’ attività di Cèchov novelliere a quella di Cèchov drammaturgo, in quanto che le due forme, in cui la sua concezione generale si mani- (1) Pseudonimo, sotto cui Cèchov pubblicò i suoi primi racconti umoristici.