169 e spostamenti di popolo, aveva dato vita a nuovi centri di vita collettiva, la scelta dei quali prima, il loro sviluppo poi furono favoriti da singolari condizioni naturali. Tale è la vicenda di Rialto, dianzi pressoché ignorata, poi meta di tanti abitatori, e di classi le più elevate. Le migrazioni furono determinate in forma violenta dall’odio politico e dall’intolleranza settaria di clientele, non da ragioni fisiche o da bisogni sociali. Il decadere dei vecchi centri fu risultato di abbandono, e non spontaneo, da parte degli abitanti, non di impoverimento fisico delle prime sedi, che rendesse inevitabile la ricerca di altra migliore. Certo, sopra la scelta di questa influì anche l’opportunità e il favore del sito, quanto almeno quello di provenienza. Ma gli involontari primi emigranti, sotto la sferza della necessità, preferirono obbedire a impulsi immediati, quale quello di trovar rifugio in luogo meno frequentato. Una volta posta dimora, magari fortuita, si formò un nucleo di attrazione, suscettibile, per naturale bontà del luogo, di rapido incremento. In essa altri connazionali facilmente si aggregarono, lusingati a mutar sede o per beneficiare della fortuna dei fratelli in altra terra, o per sottrarsi a ulteriori molestie in quella nativa. L’abbandono dei vecchi centri predispose questi a decadenza fisica parallelamente a quella politica ; esso diventò indiretto artefice di solida e robusta costruzione del nuovo nido, destinato a raccogliere e a unificare le fortune dei Yenetici. Allo scoppio dell’ ultima crisi obeleriana, in Rialto erano mature le premesse demografiche e le capacità politiche per sostenere il nuovo ordine: nè il rappresentante bizantino fece opposizione di sorta, dacché erano preservati i fondamentali diritti della sovranità costantinopolitana (1). 2. — Il compito suo, d’altronde, non era limitato alla sistemazione del governo ducale ; esso si estendeva oltre i confini territoriali e l’interesse interno della laguna, e investiva il problema generale dei rapporti franco-bizantini e della pace. Arsafio, infatti, doveva riprendere le trattative, arenate tra le more di estenuanti (1) Iohan. Diac., Chronicon cit., p. 105 : Hoc tempestate nuntius Con-stantinopolitanus, nomine Ebarsapius, Veneliam adivit et Venetieorum Consilio et virtute hoc peregit.