La servitù della gleba nella lett. russa 55 sorgeva coi versi « Là crescono fanciulle per i piaceri dei padroni » (1) e Lermontov gli faceva pietosa e malinconica eco. Ma Gogol è il primo che, dopo aver veduto, attraverso il velo delle miserabili vesti di cui la servitù della gleba si adornava, il più profondo tragico orrore di essa, vive tutta la tragedia della Russia nella propria anima martoriata, facendosi difensore di quello stesso orrore che ha denunziato nella sua nudità. Nel terzo atto della commedia Chlestova dice che Zagorieskij le ha procurato ad una fiera due arabetti. Bisogna ricordare che alle fiere, come per esempio a quella di Uriupinsk, si faceva in quest’ epoca un mercato sfrontato di servi, non frenato neppure dall’Ukaz proibitivo dell’imperatore Alessandro I. Infine, nel-l’ultimo atto Famusov, manda per punizione la cameriera Lisa in campagna a custodire il pollame e, irritato dalla negligenza del portiere, grida « al lavoro voi, in esilio voi ». Bisogna ricordare per la giusta comprensione di questo luogo, che, avendo perduto durante il regno di Alessandro I il diritto di mandare i propri servi ai lavori forzati, i proprietari avevano conservato il diritto di mandarli in esilio in Siberia. Cfr. Semevskij, op. cit. voi. II. (1) Nella novella « Dubrovskij » scritta da Puskin nel 1832 e pubblicata per la prima volta nel 1841, l’autore, che aveva già accennato sotto vari riguardi alla servitù della gleba nella raccolta : « Il racconto di Ivan Petrovic Bjelkin » e ne « La storia del villaggio Oarochiro », riprende e tratta l’argomento con più larghezza. Purtroppo non tutti i punti importanti a questo riguardo furono risparmiati dalla censura. Sulle relazioni di Troe-kurov con i suoi servi della gleba, nel manoscritto di Puskin era detto: « Poche ragazze della servitù sfuggivano ai lussuriosi attentati del vecchio cinquantenne. Per di più in una delle ali della sua casa vivevano 16 cameriere che facevano lavori a mano adatti al loro sesso; le finestre erano sbarrate da stanghe di legno. Le porte si chiudevano con un catenaccio, le cui chiavi erano conservate da Kiril Petrovic » (Un harem simile era tenuto dal generale Izmailov noto per la sua crudeltà). Cfr. Semevskij, op. cit.