suo lembo uno sfolgorare (li gemme o un delicatissimo dipinto di Rosalba Carriera. Il fazzoletto che le dita tormentano nei momenti d’imbarazzo e di galanteria è un nonnulla insignificante: ma se cade a terra, il cicisbeo raccogliendolo, sente tra le sua dita un fiocco di seta guernito di trine preziose, profumato di muschio e di melissa, così sottile da esser chiuso nella gemma di un anello. I guanti e i mezzi guanti erano una meraviglia, di ricami, di disegni, incrostati di pietre preziose: la freschezza di essi era così di rigore che nelle anticamere delle case patrizie i visitatori e le visitatrici trovavano su grandi vassoi di argento « manopole » di ricambio qualora quelli già indossati si fossero gualciti. Ogni minima cosa è elemento rappresentativo di fasto, creazione d’arte, espressione geniale di artifizio. Tutto si agita e si vela di colori sgargianti, in nuvole di fantasia. Pure non mancano i contrasti estetici. Se il guardinfante ci schiude le soglie dei saloni pallidi di troppi ori e di cristalli, di luminarie e di specchi : se ci fa pensare ai poggiuoli azzurri di plenilunio, al « felze » e alla portantina, c’è però un altro abbigliamento che ha qualche cosa di agile e di claustrale, che dona ai volti un’affilatura delicata e che persiste tra il mirabolante avvicendarsi delle mode : abbigliamento prettamente veneziano, quello del « zendà », del leggerissimo drappo di seta bruna che dopo aver incorniciato il viso e palpitato attorno alla delicatezza delle spalle, allaccia la cintura e torna a fluttuare nei due lunghi cappi morbidi e flessibili come ali. Mentre il guardinfante ci dà quell’atmosfera mondana che con qualche va- Pietro Longhi: La bottega del caffè (Galleria Saloni ■ Venezia) Pietro Longhi: Abbigliamento (Museo Civico - Venezia) riante, può essere italiana e internazionale, lo « zendà » ha per sola cornice il Liston e la Piazzetta, il Molo e le Mercerie, è costume tipico della femminilità borghese veneziana, quello prediletto, quello che forma la folla nei quadri del Canaletto, del Guardi, e sciama nelle feste popolari, nelle scene di sapore tutto lagunare. E’ vicino ad esso che si crea il tabarro-bautta, la maschera Mvida e quasi tragica che spia tra i colonnati delle Procuratie e i caffè di Piazza, che scivola furtiva nelle calli buie alla ricerca di un’avventura o di un complotto, che si insinua liberamente nei saloni dogali come nelle stanze dorate dei ridotti, e che se appena appena solleva il suo ghigno ingessato, premuto dall’ala nera del tricorno, rivela il viso accaldato della dogaressa come della popolana, della nobildonna come della meretrice. Ma il gusto dell’artifizio, il desiderio di godere la vita in tutte le sue manifestazioni e di prodigare ad esse un certo sapore di teatralità, la manìa di foggiare alla propria persona uno stile rispondente alle abitudini, creavano nella dama pomposa e incipriata personalità svariate. Il palazzo di città la