E tuttavia, ili quale clima sia fiorita, era una bellezza ariosa, superba, inconfondibile quest’arte nuova che via via appariva nel suo libero svolgersi. Stile femmina il rococò, incapace di ragiona, mento (pardon, di poderoso ragionamento). La sua linea si parte, si svolge, si spezza, ritorna, s’intreccia, s’aggroviglia, grazie, gra-ziette, fiori, conchiglie, una logica illogica, ma quale epoca dichiarò tanto estro? Nel mobile è un che d’improvviso, di leggero e di brioso che a cercare una similitudine devi ricorrere alla commedia dell’arte. Già donna e mobile (attento) simpatizzano. Guardate come la crinolina s’appoggia ampia e decora sedile e spalliera di quella poltrona a pozzetto. Come l’attacco di quelle due gambe alte e nervose del tavolo a muro (la giossola) ha il giro e la morbidezza dell’anca. Come quel bianco-latte o quel giallino o quel verdolino pallido s’accordano col biancore di cipria ch’è sul viso, sul seno, sul toupet. E ancora come il mobile s’ingloria — pili che nel palazzo troppo ampio — nell’intimo dominio della nobildon-na, nel casino dove raccoglie gli amici e a noi poco importa se a far della chiacchiera e a giocare o a celebrare le virtù d’amore. Conosciamo il casino della procuratoressa Ve-nier: deliziosissimo dai dipinti agli stucchi, ai caminetti, ai cantonali segreti, idilliaco; nè, per certo era diverso quello della Tron, lì a due passi, a S. Zulian, nè della Nani, nè della Valmarana, nè della Sagreda Pisani, a dir di qualche nobildonna soltanto. E immaginiamo il decoro di quelli dei Contarmi, dei Marcello, dei Dolfin, degli Erizzo, dei patrizi insomma che li allestivano per loro comodo. E la parola, aneli’essa, era comodissima. Il mobile del settecento s’adattava, appunto ai limitati spazi di quei ridotti più che a sale e saloni poiché più amava il vezzo che la mae- Cassettone laccato: Venezia (Civico Museo Correr). Consolle settecentesca (Raccolta Gatti-Casazza). stà quantunque, a volte, ad essa non si negasse; ma era, allora, grande sfoggio del tutto tondo e gran dovizia d’ori, era apertura del secolo, era per un momento influsso del Brustolon. Palazzo o casino, giova dire che singolare si dimostrava l’intelligenza dell’artigiano, meglio dell’artista, nel costruire codeste preziosità. L’intagliatore è sapiente nello sviluppare con profonda incisione svolazzi, cartigli, fiori, chimere, nel portare sulle ricurve superfici chiaroscuri di rara illusione. Agilissima è la mano che conduce con sicurezza la sgorbia sul cirmolo, dolce legno, morbido e compatto. Poco noce e poco ciliegio, poco mogano e poco palissandro; questi li vedremo intarsiati coll’ebano, coll’avorio, coll’osso inciso, colla madreperla, ma sarà lavoro di virtuosismo, di eccezione. In generale sono le rilucenti lacche su attente esercitazioni di pittura che fanno di un cassettone, di uno scrittorio, di una console, di un letto o di un minuscolo tavoliere dei gioielli. Spesso parecchie arti portano ad essi la loro offerta, non quella del bronzista, però, o raramente; qualche maniglia o bocchetta, a differenza dalla pratica francese e, a stare tra noi, da quella piemontese o lombarda. Esaminiamo una specchiera. L’ebanista o ri- - 25 —