G. D. Tiepolo: Il costino dei serpenti (particolare). continua vibrazione di un lavoro infinito. Piccolo perciò il numero delle opere, anche se l’attività fu continua, e la vita sempre attaccata a Venezia anche (piando la fama lo chiamava pel mondo. 1 suoi disegni gareggiavano in bellezza con le pitture, tanto le polverizzate gradazioni del nero sul bianco, delle lumeggiature e della carta vi fanno colore. Un’iscrizione pei suoi funerali 28 aprile 1754, riportata dietro l’ultimo suo capolavoro l’indovina delle Gallerie attesta come egli, sorte non rara al genio, morisse fra l’onore e la lode di tutti, oppresso da squallida miseria, e ancor, nella valutazione mondiale, l’opera sua non è adeguatamente in alto. Non può dire infausto il suo tenebrore chi ne senta, ridente di garbata venezianità, il rembrandesco potere. Gian Battista Tiepolo di tredici anni più giovane (1669-1670) ma precoce sì che esordì quindicenne, gareggia col Piazzetta, e l’uno incita l’altro alle aspre conquiste. Dei due il Tiepolo, purché si veda il Sacrificio d’Isacco dell’Ospe-daletto, deve essere tenuto per il più violento ii più aspro, massiccio e stravagante. Si rievochino pure intorno a lui precorritrici e incitatrici le rubensiane delizie coloristiche del Lys, l’impeto di fremiti freddi del Feti, la possanza dello Strozzi, altrettanto forte quanto volgare, le evanescenze luminose del Maffei e del Mazzoni, le follie spasmodiche del Magnasco: poteva tutto cotesto mondo demoniaco giovare a un manierista, ma ben altro occorreva a formare le ossa salde di un Tiepolo: un aspro ritorno al naturale da ritrarre nudo in carta con tocchi larghi e densi a far muscoli ed ossa, a dar peso e carattere insieme e un ritorno alla tradizione dei veneziani, venezianamente disegnatori, quale poteva ancora vivere allora. Predilige infatti il Tie- e viva. Diceva il Tintoretto che al dipingere bastano due colori: il nero e il bianco, ma « averli in man »; e dei due colori il Piazzetta sentì il potere come pochi altri mai forse quanto il Go-ja. Merita, poiché la guerra la ha poco meno che distrutta, che si soffermi chi la vide intatta, a celebrare la grande tela della Gloria di S. Domenico sulla cupola della cappella a San Zani-polo, dove appunto le vesti domenicane bianche e nere valevano in gamme ed effetti meravigliosi, e vi degradava la luce attraverso il livi-dor delle nubi e sbatteva sulle carni rossastre e sui larghi piani delle vesti, ed era ricco di gustose sorprese il contrasto fra la plastica solidità del primo piano e gli effetti attenuanti della distanza. Bellissimo di verità il gruppo del fratone giovane nella coccolla bianca e il vecchio vicino e quello seduto presso il cesto di rose che mostra riversa la chierica sotto gli scorci aerei degli angeli volanti. Chi può dimenticare del Piazzetta il San Francesco di Vicenza cadente riverso per dolor delle stismati e quell’angelo volante che stride le vesti bianche nel vento e si ferma sul candor dell’ala rigido di dolore e di ribrezzo, la mano bellissima comprimendo sul costato il panno intriso di sangue? Non è da far meraviglia che tenesse per anni ed anni il Piazzetta le sue tele sul cavaletto, se consideriamo come si sono fusi i colori in una G. B. Tiepolo: Tipo di bellezza femminile (particolare del quadro Vergine in gloria e Sante). - 17 -