Gaspare Diziani: Scena di martirio (Museo Civico di Venezia). facilmente si dimentica questo travaglio interiore; ma i disegni, quando non siano pura esercitazione accademica o sveltimento di mano per necessità di mestiere, stanno là a provarlo e documentarlo, in moltissimi casi. Perciò, sotto questo aspetto, i disegni dei sommi artisti possono apparire anche d’interesse più acuto che non l’opera finita e rifinita, alla quale il maestro abbia apposto il suo « placet », perchè in essa l’ansia creatrice si appaga e si acqueta, mentre nel disegno preparatorio essa ancora lo punge, lo stimola, lo arrovella. Accade anche che il minimo di requisiti tecnici richiesti dal disegno renda sovente, nell’esecuzione, più agevoli e sciolti anche pittori che, sulla tela, ci danno l’impressione di impacciati e lenti, e che quindi taluno risulti più individuale e suggestivo, sulle carte segnate dal rapido scorrere della matita o della penna, o dal fluire del pennello intriso di inchiostro di china o di seppia, che non nei quadri dove, fra la concezione e l’esecuzione, il più complicato tecnicismo agisce a volte in modo sfavorevole. Queste osservazioni, di carattere generale, valgono, implicitamente, anche per i Maestri veneziani, che, nella mostra settecentesca, rappresentano, per numero e qualità, il contingente più cospicuo. Rapidità e leggerezza di segno, immediatezza di espressione, tendenza, in generale, al carattere « pittorico », più che alla precisione ed incisività, ricerca di effetti luministici e di aggruppamenti vivaci, spiccato carattere impressionistico, in alcuni anche amore dell’aneddoto e del particolare, ecco le qualità salienti dei disegnatori veneziani, che precorrono e preannunciano, nelle brevi carte, le qualità pittoriche delle più vaste tele. Ma, appunto per queste qualità che, dal disegno, trasmigravano poi alla pittura, i Maestri veneziani non furono mai in fama di grandi, magistrali disegnatori, così da poter essere additati ad esempio e per lo studio; e già la contrapposizione cinquecentesca, irrigidita in una formula accademica, fra il colorito tizianesco ed il disegno michelangiolesco, dal cui connubio avrebbe dovuto sorgere l’opera idealmente perfetta, indica, pur nella sommarietà di un giudizio salomonico, che la parte cromatica era lasciata, con tutti gli onori, ai nostri Maestri del pennello, ma che era negata ad essi, aprioristicamente, quella del disegno. Francesco G. ardi: Fantasia architettonica (Museo Civico di Venezia). — 60