G. D. Tiepolo: II castigo dei serpenti (particolare) (Venezia - Accademia). nuove pitture: bisognava attendere sorgessero nuovi palazzi e nuove chiese. Di qui il bisogno di andar fuori, di fondersi e di confondersi nel mondo, di dare a tutti e anche se poco giovava di prendere da tutti. Così Sebastiano Ricci (1663-1734) giovane ancora, passa da Venezia a Parma e a Firenze copia il Correggio dopo aver copiato Paolo, e dopo Pietro da Cortona e Luca Giordano; e si forma imitando garbatamente tutti, quella sua maniera festosa e viva ma di un languido sapor veneziano che porla trionfante a Londra e in Germania e vi fa denaro. Così Jacopo Amigoni (1673-1752) graziosissimo nelle mitologie, pomposo nei ritratti, coglie facili trionfi a Londra a Parigi a Madrid, gradito nei salotti dove erano delizia della moda i pastelli incipriati della Rosalba. Tutto ciò, se aggiungiamo le signorili frivo-lità di Pietro Longhi, era quel che il mondo poteva aspettare dalla città decadente derivato da essa senza sforzo a discreto commento alla sua impareggiabile vita. Ben altro era necessario a creare arte. Non si poteva ricavarla da altri; era necessario esprimerla da sè e dalla propria tradizione, crearla con un ostinato rigor di studio violento di negazione possente di ricostruzione, che andasse ad affrontare nel fondo il problema dello spazio, dell’ombra e della luce. Gian Battista Piazzetta per primo la rompe con la facilità manieristica e gli giovasse più o meno l’essere figliuolo di un tagliatore di legno di ornati e di figure, si pone da una parte il problema della solidità, dall’altra quello della luminosità. Forse chi più gli insegnò è stato, di- segnando e incidendo il Rembrandt, con le stampe, che gli suggerì di polverizzare il segno perchè, fatto immateriale, vibri tutto di luce; forse, prima delle atmosfere oscure predilesse le chiare, dove fossero possibili i più tenui trapassi di colore, come quelli del suo Cristo risorgente di Bologna, che si tiene per una delle sue prime pitture. A Bologna era andato il Piazzetta per farsi scolaro di Giuseppe Maria Crespi (1661-1747) detto lo Spagnolo, ma si racconta che quel pittore subito che ne vide un disegno disse che egli più aveva da imparare dal Piazzetta che da insegnarli. Di fatto, sia pur che si giovasse forse sulle prime dell’esempio del Crespi così vivace e singolare, ma arbitrario e monotono, in quei suoi riflessi di biacche luminose che avvolgono le figure in chiarori ed in evanescenze lunari, sia pure che indulgesse all’umore così faceto nelle mitologie popolaresche e nei sette sacramenti del bolognese, pure nella tecnica fondamento dell’arte il Piazzetta mantenne intera allora e poi la sua indipendenza e risolvette da sè i suoi ardui problemi. Tutta la circostante atmosfera egli fece vivere come in un’evaporazione rossastra e sulfurea in cui i colori anche tenuti bassi di valore e come in sordina avessero vivissimi risalti e valessero senza violenze improvvise e locali a dare solidità e morbidezza alle figure che egli, per le carni, vestiva magicamente di una epidermide vibrante G. D. Tiepolo: L’Angelo che manda la manna dal cielo I Verolanuoval. ^16 ^