14 UMBERTO URBANAZ-URBAN1 del popolo, si fonde con la maschia bellezza, profusa dall’artista. I sentimenti più sacri e più fieri dei montenegrini, si accordano con le voci della loro storia, con i gemiti, con i palpiti del loro passato, con le ansie e con i sogni dell’avvenire. Ma dal poema non balena soltanto il passato di un piccolo popolo: c’è il passato di due mondi, di due concezioni, di due religioni, la cristiana e la maomettana. Sulle montagne del Montenegro, come sui campi di Serbia e sulle aride sabbie della Palestina, percorse dal vecchio iguman Stefano, si rompono le ondate dell’Oecidente e dell’Oriente, e stridono, mugghiano, tuonano nei versi poderosi del NjegoS. Il dio, che il poeta pagano sentiva in sè stesso, è il dio che erompe dalla voce dei grandi poeti ogni qual volta le sorti dei popoli presentono o attraversano una storica epoca. Il NjegoS, profilo e solenne come Dante, è un principe di quelli che per l’Italia aveva sognato il Machiavelli. Tale si mostra anche nel suo poema sublime. ♦ ** Il capolavoro del vladika si basa su di un tragico avvenimento storico: la notte di San Bartolomeo montenegrina. Al principio del secolo XVIII, non solo la dinastia dei Petrovié-Njcgos correva rischio di essere sbalzata dal trono, ma anche l’indipendenza del Montenegro era in pericolo. Il paese era minacciato dai Turchi, specialmente per il fatto, che fra i mon-