129 Costantinopoli. L’investitura imperiale di onorifiche dignità (1) era implicito documento di sua alta sovranità. Ospitando le trame di riscossa, che, a quanto pare, avevano fatto centro della loro attività l’Istria e la Venezia lagunare (2), erano risuscitate vecchie simpatie. In presenza di questa prospettiva è vano parlare di dipendenza, sia pure teorica, del territorio da una presunta giurisdizione pontificia, s’intende politica. Nè si può accogliere, nemmeno come ipotesi, la postuma interpretazione della formula del patto pavese. Sorgeva una nuova dottrina, tenuta a battesimo da papa Stefano III nel nome del suo omonimo predecessore (3), diretta a consolidare e estendere il titolo di un possesso territoriale assai discutibile. Al tempo della conclusione dei patti pavesi, nè durante tutto il pontificato di Stefano II, nè durante quello di Paolo I, mentre più ardenti erano gli intrighi bizantini, tali rivendicazioni mai erano state proposte. La provincia veneziana, senza tradire lo spirito autonomista, dal quale era animata, era e restava nell’ orbita della sovranità bizantina ; era e restava dominio ideale della corte costantinopolitana, ultima propaggine nord-occidentale, che, con (1) In quale anno siano state conferite, è difficile precisare; certo però prima del 770-71, perchè il duca figura già in possesso di questi titoli nella lettera dell’ arcivescovo Giovanni di tali anni (M. G. H., Epist., Ili, 71 ; Documenti cit., 1,49). Forse in occasione della campagna longobarda in Istria, di poco anteriore al 770-71, alla quale il duca partecipò attivamente in aiuto della difesa bizantina. Per i titoli ducali cfr. Lazzarini, I titoli dei dogi di Venezia, in « N. Arch. Ven. », n. s., V, 272 sg. = «Scritti» cit., 184 sgg. ; Cecchetti, Il doge di Venezia, Venezia, 1864, p. 68 sg. (2) Cod. carni., n. 31, in M. G. H., Epist., Ili, 537 ; Documenti cit., I, 46. (3) La formulazione di tale teoria, enunciata per primo da Stefano III, fu suggerita dalle conseguenze della guerra longobardo-bizantina in Istria, che prospettarono una situazione analoga a quella ravennate d’altri tempi. L’arcivescovo Giovanni nella dolorosa contingenza aveva invocato, con l’assenso del duca Maurizio, l’aiuto e la protezione pontificia, sopratutto per impedire la secessione ecclesiastica della chiesa gradense e l’arbitrio longobardo, appellandosi all’ineffabile misericordia divina, quam erga Ravennatium civi-taiem eiusque pertinentibus oppidis et finibus per vestra apostolica auctoritate et defensione ostendere dignatus est. Da questo generico riferimento, per nulla compromettente (M. G. H., Epist., III, 714 ; Documenti cit., I, 49), il pontefice trasse argomento per dettare le prospettive politiche (lettera all’arc. Giovanni, in M. G. H., Epist., III, 715 ; Documenti cit., I, 52), che andava forse elaborando in previsione di un nuovo intervento franco in Italia contro i Longobardi. 9