SCRITTORI JUGOSLAVI 19 elevano dall’altare eretto verso Oriente, ed invita gli eroi a morire gloriosamente, poiché devono morire, ricordando che, senza morte, non c’è risurrezione. Allo spuntar dell’aurora, i capi del popolo entrano nel tempio. Giurano di incominciare la lotta contro i turchi del paese. Invocano Dio a punire chi tradisse gli eroi, che marceranno contro il nemico della Patria. Iddio è chiamato a cangiare in pietre i campi dei traditori, a cangiare in pietre i figli nel ventre delle loro mogli o a dar loro figli lebbrosi e a privarli di discendenti maschi ed a lasciare le loro case senza fucili. Gli eroi si alzano, pronti alla lotta ed al sacrificio. Oltre alle parole dell’iguman Stefano, sono stati a rinfrancarli i sogni della notte. Quasi tutti ebbero il medesimo sogno: videro sul campo di Cettigne passare a cavallo il glorioso Obilió, l’eroe dei canti nazionali. Il Natale del 1702 spunta più bello e più fulgido che mai, cinto dell’aureola della libertà, risorta dalle tombe degli antenati. Nella notte precedente era stato compiuto il voto: i traditori del nome montenegrino erano stati uccisi e messi in fuga e le loro case erano state incendiate. Il vladika Danilo ed il popolo montenegrino festeggiano i cinque fratelli Martinovié ed i più fedeli servitori del vladika, che hanno salvato il paese. La riconoscenza popolare eleva agli eroi canti di gloria: il monumento del loro eroismo, sarà il Montenegro e la sua libertà. Con l’apoteosi degli eroi nazionali, finisce il poema dell’Omero serbo.