251 interni per sorprendere le navi avversarie, che si avventurassero alla navigazione (1). I lidi veneziani anche questa volta non furono offesi, ma la sicurezza di traffico gravemente compromessa. I nemici incrociavano alle porte di casa, e minacciosi soffocavano il transito. Necessità di vita costringeva ad affrontare con fierezza il nemico, rompere l’assedio, aprirsi un varco, disperdere il pericolo imminente. La vigorosa giovinezza marinara veneziana, conscia del dovere e sensibile ai supremi interessi, come aveva prevenuto l’assalto slavo, così risolutamente incontrò, per la difesa della sua esistenza, la minaccia saracena annidata lungo la sponda avversa, fastidiosa al traffico veneto non meno che se avesse depredato e sconvolto le patrie isole. La squadra veneta, riassettata, venne alla ricerca del grande esercito nemico per ricacciarlo e distruggerlo. Ma fierezza e buona volontà non bastavano. I nemici, superiori di forze, avevano scelto il terreno propizio per la battaglia, al riparo degli scogli del Quarnaro : ivi potevano tranquilli aspettare l’assalto e sostenere l’urto con probabilità di vittoria. La storia registra una nuova disfatta veneta nelle acque di Susak, dove le squadre saracene sostavano. Forse la vittoria non fu più fruttifera per i vincitori di quanto sia stata dannosa la sconfitta per i vinti (2). Colonie o stabilimenti militari saraceni nell’alto Adriatico, nonostante i successi delle recenti campagne, non poterono insediarsi. La reazione veneziana, anche se sfortunata, era servita ad alleggerire l’Adriatico del peso di nuovi ospiti, dove già erano anche troppo molesti quelli, che si erano affacciati alla sponda dalmatica dalla terraferma. 5. — Le penose vicende adriatiche tuttavia contribuivano a definire e consolidare a vantaggio del piccolo ducato uno degli (1) Iohan. Diac., Chronicon cit., p. 114 : In secundo vero anno iterum pre-dicli Sarraceni maximo cum exercitu usque ad Quamarii culfum pervenerunt, quos Vendici navali expedicione aggredientes. acriter insta locum, qui Sansagus nominatur, supra eosdem irruerunt, sed demum Venefici dantes terga vidi regressi sunt. (2) Cfr. Amari, Storia cit., p. 497 sgg.