27 vanni, a Valentiniano III, seminarono rovine e prepararono la decadenza (1). La leggenda (quella più recente, e non indigena) fa cominciare il movimento migratorio dal tempo di Alarico (2). Il ricordo dei disagi e delle sofferenze sopportate per colpa delle invasioni gotiche, le ripetute incursioni loro traverso tutta la penisola, le fortunose vicende degli eserciti alariciani e ataulfiani scorazzanti, quasi senza meta, per tutte le provincie occidentali dell’impero, dall’Italia alla Gallia, alla Spagna, l’inquietudine degli eventi passati, il terrore di (1) La rovina e il deperimento, che si rivelano tra il secolo V e il VI nella regione veneta, dalla terraferma alla laguna, non erano soltanto il risultato dell’ opera di secolari fenomeni naturali (bradisismi, costipamenti ecc.), ma, analoghi a quelli contemporanei degli altri territori dell’impero, derivavano da causa comune recente : il declino della vita politica, economica e morale. La resistenza dell’ uomo nella lotta contro le avverse forze naturali fu paralizzata, l’integrità del territorio fu compromessa, la salubrità dell’ ambiente offesa. Dagli scrittori classici erano state celebrate le meravigliose conquiste della tenacia e della vigoria delle genti venete. Quando queste vacillarono, le forze distruttrici presero il sopravvento e nelle regioni montane e in quelle di pianura, e nei territori boschivi e in quelli di cultura agricola, e nella conservazione di fiumi e porti. Il disordine digradò dal monte al piano e scese al mare per tramite delle acque. Il loro malgoverno fu causa di ininterrotta successione di mali, accumulati con vertiginosa rapidità. In terraferma erano visibili gli effetti della decadenza : abbandono di culture, incuria di regola dei corsi fluviali, deficiente restauro delle arterie stradali e conseguente loro distruzione, come, p. es., lungo la via Annia, ecc. Cosi si formarono alle spalle dei centri costieri boscaglie, terreni incolti e paludosi, che intralciarono le comunicazioni del retroterra. Intorno ad essi si accentuò l’isolamento, mentre le torbide dei fiumi deposero nei porti fluviali abbondanti materiali raccolti tra terre mal coltivate o abbandonate. Dai centri costieri le malefiche conseguenze si estesero e si propagarono in laguna, alterando la figura dell’ambiente e la capacità economica. Per impensata virtù le successive migrazioni dalla terraferma intervennero in buon punto a mutare il corso degli eventi e a impedire l’estremo dissesto con efficace opera restauratrice. (2) Cronica del Dondi del sec. XIV, edita nella parte essenziale dal Lazzarini, Il preteso cit., p. 115 sgg., e ristampata, ma non integralmente, dal Marzemin, op. cit., p. 343 sgg. Costantino Porfirogenito (De adm. imp., c. 28) non ha nessun accenno alla presunta fondazione realtina, conseguente alla invasione alariciana. Si risale ad Alarico e ai Goti, dopo che è accreditata la notizia, d’origine costantinopolitana, della fondazione al 421, divulgata posteriormente all’età costantiniana.