176 Il paetum Nicefori era un patto generale, non speciale, negoziato e concluso tra due stati sovrani, non tra vicini, secondo la fisionomia, che poi assumerà, perdendo per virtù del tempo il primitivo significato. In esso figuravano clausole suscettibili di esser applicate in territori diversi dello stato, e norme particolari a favore di determinate regioni nominativamente espresse. Le une e le altre però sempre nell’interesse degli stati contraenti, l’impero franco e l’impero costantinopolitano (1). Il territorio veneto era una circoscrizione di questo. Tali appaiono il suo comportamento e la sua funzione traverso le vicende, che precedettero la conclusione del patto, e nel patto stesso. Il governo costantinopolitano aveva salvato ancora una volta la sua integrità fisica e morale, elaborando un ordine giuridico, che resterà difesa secolare della nazione, anche dopo il tramonto di fatto e di diritto della sovranità orientale nelle lagune. La provincia lagunare però era bizantina nella forma, ma veneta nello spirito e nella pratica quotidiana. L’ aspetto bizantino, rivestito nelle grandi occasioni, non tradiva nè soffocava l’esuberante impulso di una operosa spiritualità indigena, che imperativamente reclamava il diritto di vivere senza subire violenze o costrizioni e senza esser obbligata a pronunciare dolorose rinuncie. Il governo orientale, geloso custode dei suoi diritti, anche in Occidente, di fronte all’invadenza altrui, da molto tempo non aveva esercitato nè esercitava sopra questi remoti territori diretto intervento, se non in circostanze eccezionali per impedire l’assoggettamento straniero. L’abbandono e il disinteresse dimostrati dalla corte costantinopolitana nella cura della quotidiana fatica di questa gente, alternati con momenti di risveglio militare, contribuirono a creare la sua fortuna morale e materiale. L’alta tutela, e non solo platonica, difese e assicurò la sua incolumità, fino a che non potè esser dotata di forze sufficenti a respingere e fiaccare le bramosie di potenti vicini ; l’estrema tolleranza, che diventò tacita rinuncia, negli affari interni permise lo sviluppo delle energie locali e la maturazione della coscienza indigena, automaticamente preparata traverso questo processo ad assumere l’eredità del passato e la responsabilità del futuro. (1) Per tutto questo vedi l’analisi più volte citata sopra il Pactum Lotharii, cit., p. 1139 sgg.