135 bardos dignoscitur provenisse, era esteso senza riserva ai territori bizantini della Venezia lagunare e dell’Istria. Eppure essi mai erano entrati in discussione. Stefano III s’appellava a questo, quasi fosse cosa notoria, per giustificare l’asserito diritto di giurisdizione pontificia, e non aveva scrupolo di ridurre le provincie di Istria e Venezia alla medesima legge della provincia romana e dell’esarcato ravennate. In virtù di questa erano riservati all’autorità pontificia il diritto e il dovere di reprimere qualunque offesa recata in quelle come in queste. La recentissima interpretazione del patto va intesa naturalmente in rapporto al momento e all’accentuarsi della crisi ponti-ficio-franco-longobarda. In concreto però tali prospettive restavano senza effetto. Alla sede apostolica mancavano autorità e mezzi pronti e adeguati. Per sottomettere i nemici facevano difetto forze militari ; per esigere il rispetto di popoli, cui si voleva imporre un obbligo di sudditanza inesistente, mancava giusto fondamento giuridico e politico. Se mai, un intervento efficace poteva esser esercitato dalla S. Sede nell’ ambito ecclesiastico con la repressione degli arbitri episcopali, i quali potevano esser corretti con successo per mezzo delle sanzioni canoniche ordinarie. Ma anche sotto questo rispetto la sentenza pontificia lasciò immutata la crisi veneto-istriana. Il suo assetto doveva altrimenti risultare dallo sviluppo della situazione internazionale. 5. — I grandi eventi, che con vertiginosa rapidità portarono all’ inasprimento dei rapporti pontificio-longobardi negli ultimi anni del pontificato di Stefano III (572), al collasso del regno longobardo e alla conquista franca (774), trasfigurarono la fisionomia politica, se non quella territoriale, della penisola italica. Traverso questo mutevolissimo processo, la teorica della devoluzione dei territori dell’ Italia esarcale al governo pontificio, abbozzata da papa Stefano, trovò in papa Adriano uno sfortunato realizzatore (1). (1) Liber pontif., Vita Hadriani, ed. cit., I, 498. Molti dubbi sono stati elevati sopra l’autenticità della promissio Caroli inclusa nel Liber, da parecchi critici reputata postuma interpolazione (Cfr. per tutti Caggese, op. cit., p. 255 sgg.). Osservo però che essa deve esser posta in relazione alla nota lettera, che riesuma il Consiitutum Constantini nella sua ultima veste (Cod. carol., n. 60, in M. G. H., Epist., Ili, 586 sgg.), perchè nel pensiero adrianeo