TORNATO DA ROMA NEL 1560. 59 in un luogo dove si suol ridurre un magistrato detto la Balìa, dipinta l’istoria di papa Alessandro e di Federico Barbarossa imperatore, eh’è nel nostro Maggior Consiglio, la quale con qualche difficoltà m’ bau lasciato vedere, tenendola coperta con una spalliera. Ma per tornar alla potenza di quel Duca, dico che ora che ha congiunto il Senese con il suo Stato, confina con quello di S. Chiesa per modo, che in tal loco non sono lontani li suoi confini da Roma più che 50 miglia in circa, onde fermandosi bene ed intendendosi col re Filippo, a me par vedere che li pontefici abbiano a star sempre a pura discrezione di questi due principi, i quali gli possono dar in un tratto con comodità una stretta; di sorte ch’io vedo quello Stato in manifesto pericolo, e massime ora che il re di Francia con quest’ultima pace par ch’abbia voluto abbandonar affatto tutte le cose d’Italia. Vedendo molto ben l’interesse dello Stato Ecclesiastico, quel Duca, col suo impadronirsi del Senese , dubitò assai che papa Paolo IV, dopo conclusa la pace fra il re Cristianissimo e il Cattolico, non mettesse qualche impedimento, e non contraoperasse a tal cosa; e però fece opportunamente fare allora per il suo ambasciatore con Sua Santità quelli così caldi offici in questa materia, ch’io scrissi a quel tempo alla Serenità Vostra, e si sforzò fino di metter li Senesi in odio di Sua Beatitudine con dirle che erano eretici e luterani, ma principalmente si sforzò di far capace il Pontefice che l’impedire la consegnazione del Senese a esso Duca, saria un romper quella pace, e poner di nuovo guerra in Italia. Con questi uffici efficaci operò tanto, che non solamente non furono esaudite le dimande e supplicazioni che mandarono li Senesi a fare a Sua Santità, ma nè anco furono ammessi gli ambasciatori loro per grand’ instanza che facessero, e per molte intercessioni che adoperassero per esser introdotti alla presenza sua; onde gl’ infelici furono necessitati a partirsi disperati, come particolarmente scrissi allora ; c in vero fu cosa rara, e forse non mai più udita, che ambascia-tori di una misera città e repubblica, che con modi sinistri e ingiusti andava a soggezione e in preda di un tiranno, venissero a Boma per esponer le loro miserie ad un^Vicario di