DI FRANCESCO VENDKAMIN. 1589. 195 ed essendo più desiderata la pace dal sig. Duca che da nessun altro, saranno però sempre in diffidenza, nè s’osserveranno mai le capitolazioni, quando ben s’accomodassero al presente, si come per il passato non si sono mai osservate. Vengo per ultimo all’ intelligenza che tiene il sig. duca di Savoia con questo Serenissimo Dominio come quella che più importa di tulle 1’altre; ricercando lutti i rispetti che per vera ragione di slato ci sia sempre buona intelligenza, sì come tra gli antenati di questo principe e questa Serenissima Repubblica per tante centinaia d’ anni è stata conservala una grandissima unione, come si vede nell’islorie de’ tempi passati con tante leghe e con tante confederazioni. Ma quello che più importa, avendo convenuto provar questo Serenissimo Dominio la fede dei principi molto fallace in tante occasioni, non s’è trovato mai che dai duchi di Savoia egli sia stato abbandonalo in alcun tempo; parendo veramente che sia una parli-colar volontà di Dio che questa unione si conservi per beneficio d’ Italia, essendo veramente quello stato alla porla di essa, da quella parte, per frontiera agli eretici, siccome è da quest’ altra lo slato della Serenità Vostra contra gli eretici ancora e mollo più contra gl’ infedeli. E quanto al signor Duca presente, io posso afTermar con ogni verità alla S. V. di averlo conosciuto nel tempo della mia ambasceria assai ben disposto verso questa Serenissima Repubblica; avendo usalo Sua Altezza verso di me, come suo ministro, molle dimostrazioni piene d’amorevole affetto e di grandissima stima verso questo Serenissimo Dominio. È ben vero che nei moti del marchesato di Saluzzo, per quei prudentissimi ufficj che fece allora la Serenità Vostra con i principi (e specialmente col Pontefice), mostrò segno Sua Altezza di molla perturbazione d’animo per la sua natura mollo sensitiva in tutte le cose; aggiungendosi in quel tempo ancora quelle voci che erano sparse per tutta questa città, e minulissimamenle rappresentate all'Altezza Sua da chi si ritrovava per lei appresso la Serenità Vostra, per le quali era già stato espedito l’amba-sciator Belli espressamente per farne qualche querela, siccome io scrissi allora con mie lettere reverentemente; sopra che si