199 posto a una prospettiva generale di principio, che riguardava la legittimità o meno di esistenza di due patriarcati, e, di conseguenza, a quale dei due tale diritto competesse. Allargata così la sfera della discussione, la questione dei vescovi istriani era diventata secondaria, ed era fatta servire di pretesto per conseguire vantaggi assai più vasti, la preminenza e l’esclusività del titolo metropolitano. Massenzio proponeva in forma esplicita il ristabilimento dell’unità territoriale della giurisdizione, invocando la soppressione del titolo grádense, siccome usurpatore e inesistente. Grado non era mai stata sede episcopale, tanto meno metropolitana : era stata ed era semplice plébs di Aquileia, nella quale per necessità occasionali il patriarca aquileiese Paolo aveva cercato momentaneo riparo e temporanea residenza, senza intendimento di trasferir la sede. Da Paolo a Giovanni la situazione di diritto non era mutata, quanto era mutata quella di fatto, per il sopravvenire di situazioni politiche e territoriali, civili e religiose, profondamente diverse. Ma queste non avevano avuto virtù di distruggere la prerogativa originaria aquileiese. Per rivendicare i diritti metropolitani tradizionali, e in particolare quelli sopra l’Istria, denunciava l’usurpazione grádense e ne chiedeva la condanna. Il violento prelato però non rifletteva, che, anche se altra non fosse stata, come in fatto era, la figura originaria del titolo, secolari avvenimenti avevano mutato la funzione e, col nome, essa aveva perduto anche la primitiva fisionomia. Fosse o no figlia di Aquileia, Grado aveva acquisito il diritto a funzioni metropolitane in un ordine nuovo, in una provincia nuova, che al tempo di Aquileia non aveva esistenza politica nè ecclesiastica, ed ora aveva raggiunto e l’una e l’altra cosa. Massenzio, dopo aver lamentati in nome della giustizia con patetica deplorazione le sofferenze dei fratelli istriani, costretti a servire due padroni, esigendo la revoca della metropoli grádense e il riassorbimento nella sua chiesa, capovolgeva le sorti dell’episcopato a danno della chiesa veneta, con l’aggravio di sopprimere la libertà di una chiesa nascente, nata libera, gelosa e fiera del suo carattere insulare. Il prelato aquileiese, irretito in una mentalità tradizionale, non era in grado di rendersi conto dello spirito di nuovi tempi, e sopratutto non aveva saputo nè seguire nè capire genesi, significato e valore della evoluzione veneta. Non li aveva compresi il patriarca Massenzio, troppo legato a un