Serenissimo prìncipe ed eccellentissimi padri, lo stimo certo, che saria ragionevolmente tenuto dalle SS. VV. ili. e sapientissime cosa molto inetta, quando io volessi in questa mia narrazione ovvero relazione della ambasceria esercitata per nome di questa Repubblica serenissima, prima appresso il pontefice, di poi appresso al medesimo e alla Cesarea Maestà, replicare particolarmente tutte le trattazioni e negozii che mi sono passati per le mani; avendoli tutti minutissimamente significati per mie lettere alle EE. VV, le quali li hanno tutti in memoria ; e tedio saria per loro il ridirli, massime, perchè i negozii, i quali più importano, cioè, la trattazione e la conclusione della pace con Cesare, sono cosi recenti, che meglio, ovvero non meno, sono fissi nella mente di questo Senato, che di me medesimo. Pertanto, lasciando tutta questa parte di trattazione, mi rivolgerò a uarrare tutte quelle altre, che (essendo degne di essere intese dalle SS. VV. EE. ) non si hanno potuto nè si possono così spiegare con lettere, come adesso si farà colla viva voce. Però, narrerò alle SS. VV. principalmente tutto quello della persona, natura, e volontà del pontefice e di quelli che gli sono appresso, che è buono che da quelle s’intenda; ed il simile poi farò della Cesarea Maestà e de’ suoi. Dirò anche alcune parole dell’ illustrissimo signor duca di Milano, col quale a Bologna sono stato circa a tre mesi;