171 i Savi, messer Francesco Venier, savio di Terraferma. Li fondamenti della quale risposta furono: che messer Girolamo si poteva comparare ad un medico troppo pietoso, il quale, per essere più del dovere nelle sue cure compassionevole, riduceva a mal termine gl’ infermi; conciossiachè con questi lenimenti di voler conservare alla Repubblica due città, disturbava la conclusione della pace, tanto necessaria a tutti e massime alla Signoria nostra. E qui si diffuse assai, servendosi più fiate della metafora del medico: e che di ragione le dovevamo restituire, perciocché le avevamo tolte nel tempo che il pontefice era prigione; a cui, parlando il vero, avevamo fatto intendere che le renderessimo, uscito che fosse del Castello di Roma; sebbene, per far belle le nostre ragioni, ora si parlasse altrimenti: e perciò, sebben le ragioni che in nome nostro si allegavano col pontefice, facevano per noi nel primo aspetto, nondimeno non dovevamo fermarci in quelle, per non disturbare la pace tanto salutare e necessaria alla conservazione di tutta Italia, e forse più a noi, che a tutti insieme e a ciascuno degli altri. Messer Piero Mocenigo, figliuolo di messer Leonardo, ritrovandosi nel Senato come provveditore del Comune, parlò nell’ opinione del Pesaro cogli stessi fondamenti e con diffuso sermone; mostrando la pace essere necessaria ed utile, ma con li debili modi; chè lo spogliarsi di due città così prestamente, non era onesto nè lecito; anzi inonesto e contro la dignità dello Stato. E volendo messer Leonardo Emo parlare in questa materia, per essere l’ora tarda, ne fu differita la deliberazione al giorno seguente. Ài dieci di novembre, tutti i Savi di collegio dell’ una e dell’ altra mano, eccetto il Pesaro, proposero di scrivere all’oratore, che dovesse presentarsi al pontefice e dirgli: poiché la illustrissima Signoria ha vista la risoluzione di Vostra Santità di volere al tutto Ravenna e Cervia, per non contrapporsi al suo volere, ha deliberato di renderle