311 nente alle famiglie, era cosa di tanta e tale contrarietà, clic* difiidimenle si potrebbe esprimere. Fece poi accrescere molto più la difficoltà questo: che, trattandosi la materia della bolla ed essendosi per ultimare, Vostra Serenità mi commise di trattare e tentare quella delle denominazioni (1); la quale domanda parve troppo strana, e fu di non poco disturbo alla trattazione principale, di sorta che Sua Santità allora maravigliandosi, mi disse quel proverbio: che chi due lepri caccia, l’una gli fugge e l’altra non può prendere. Con tulli questi disturbi ed impedimenti, alla materia della bolla Sua Santità aveva pur consentito; e 1’ ultima volta che gli parlai (chè non era ancora ben sano) mi disse chiaramente (poiché da me fu di nuovo disputato sopra tutti gli articoli), che io dovessi dare al reverendo Tommaso da Prato, vescovo di Vasona, olim Datario, la minuta con lutti gli articoli così dichiarati, e poiché fusse da lui fatta estendere, io ne parlassi a Sua Santità, che la manderia al reverendissimo Campeggio, e l’ultimeria votivamente. Ma subito Sua Santità di nuovo s’infermò, nò mai più potei parlargli nè io nè altri, massime in materia di negozii; perchè andò sempre peggiorando nel male che ultimamente lo fe' morire. E con la morte sua si è perduto quel bene che io trattavo per commissione di Vostra Serenità. Avria anche Sua Beatitudine concesse le denominazioni, e credo, anche tutte quelle cose che Vostra Serenità gli avesse saputo domandare; poiché niuna cosa più desiderava che di gratificarla, per poter renderla più facilmente (come già fermamente pensava) unitissima seco lei. Ma la morie tolse di mezzo questa aspettazione; nè da poi si è ritrovato quella disposizione dal canto di Paolo; perchè si è visto Sua Santità non accennare ad altro che a voler ripigliare le facoltà di denominare a quei principi, ai quali sono state concesse; non che vo- (I) Cioè, del diritto di nominare ai beneiicii cccletiaslici.