423 mani ». Il cardinale Caraffa, in lelterc dei Ire novembre, dice, parlando dei regii: « si ritirino e partano, e delle differenze si potranno far arbitri gli amici »; e per questi, dice che intende la Signoria di Venezia. Questo ¡stesso cardinale, per lo avanti, in lettere dei dodici ottobre, dell’oratore e segretario insieme, dice: « a che giovano tante parole? se il duca d’Alva si rimetterà nella Illustrissima Signoria, sono certo che il papa si contenterà; e sliasi a quello che sarà per decidere quella Repubblica ». Se dunque si hanno queste parole, così dai regii come dai pontificii, perchè non si deve continuare in proposito della pace? Perchè si de-v’egli disperare di non poterla fare, o almeno disporre che si faccia? Non si può far peggio che non far altro; si deve operare quello che si può, non foss’ altro che per giustificarsi appresso i principi del mondo, i quali non possano dire: i Signori Veneziani hanno avuto in loro balìa il poter fare la pace tra il pontefice e il re cattolico, e non l’ hanno pure tentata ! Tutti i Savi del Collegio sono d' accordo di non levare ancora da Roma il Segretario; ma una parte sente di fare ufficio generale per la pace, e poi licenziarlo che ritorni a casa; l’altra parte sente di discendere al particolare, di ragionare col Cardinal Caraffa o coll’¡stesso duca di Palliano, e di coadiuvare I’ abboccamento che si tratta di fare; di mettere inanzi i beneficii della pace pubblici e privati, l’onore e l’esaltazione della persona e della casa loro, appresso tutto il mondo, se saranno autori di tanto bene; far loro intendere che, colla trattazione e negozio, si potrebbe sperare che lo stato di Palliano rimanesse al pontefice; e si consigliano a fare che il pontefice lo sappia, ed essendo di sua sodisfazione, ordinare che il Segretario ritorni al duca d’Alva, e consigli Sua Eccellenza a lasciarlo liberamente al pontefice; considerando che è cosa minima, in comparazione del male e della rovina della guerra Questa opi-