219 ringo e di metter fine al suo parlare. A lui rispose messer Alvise Mocenigo, Savio del Consiglio, e disse : signori, se comincieremo ora ad assentire alle richieste del duca, saremo molestati a fare lo stesso, quand'egli dovrà pagare in più rate gli ottocentomila scudi all’imperatore; e a questi dispiacerebbe che noi fossimo sì compiacenti col duca, e direbbe: nelle differenze che ho avuto colla Signoria, ella si volle avvantaggiare di miserie, ed ora non si schifa di dar così prontamente il suo danaro al duca Francesco. Aggiunse, che le ricchezze della nostra terra erano ormai sminuite e quasi ridotte a penuria; che sebbene succedeva la pace, la Repubblica nostra aveva bisogno di ristoro, come infermo che ha maggior bisogno di rimedii dopo il male che avanti; che la fede e promissione del duca di reintegrare l’imprestito alla Signoria, era di poca importanza ; anzi che si poteva tener per certo di non riavere più nulla ; come si poteva argomentare, per l’esperienza degli altri imprestiti del Senato, ai quali egli non aveva mai sodisfatto. I Savi del Collegio fecero levar la proposta del-l’imprestito dei diecimila ducati, e restarono sopra la promessa del sale colla fidejussione del duca, Parlò per questa opinione messer Piero Landò, Savio del Consiglio, dimostrando che, oltre all’essere noi debitori di ajutare il duca di Milano per non interromper la pace, era utile alla Repubblica servirlo non solamente di quindicimila ducati dei sali, ma eziandio di maggior somma, quando egli se ne contentasse ; perchè si veniva a smerciare il sale, che avevamo da tanto tempo senza beneficio nei magazzini ; e insieme ci facevamo grati a colui, per il quale avevamo speso tanti danari, acciò rimanesse in istato. E non era da dire che non ci pagherebbe ; perchè, se per i tempi passati pareva ch’egli non avesse atteso alle sue promesse, questo era stato per il travaglio della guerra; cessando la quale, dovevamo credere che non