168 parlò solamente coutru l'opinione del Collegio; perchè il Pesaro non si aveva ancora lasciato intendere, ma all’improvviso aveva fatto leggere lo scontro. La prima adunque ragione si fu che, dovendo noi trattare con Cesare altre differenze, era utile e buon consiglio alla patria gratificarselo, mostrando che in grazia sua queste città si dariano al pontefice, per avvantaggiarsi poi seco nel maneggio della pace. La seconda, che del pontefice non si doveva avere alcuna fidanza, per essere persona ambiziosa e di poca fede, che non ha rispetto ad altro che al proprio bene, e che con maggior verità si potria chiamare eresiarca, che pontefice e capo dei cristiani. Al Mocenigo rispose il Dandolo, savio del consiglio, e disse: che era molto più utile allo Stato il rendere le città al pontefice per noi, senza pigliare il mezzo di Cesare; perciocché in quel modo ci spogliavamo delle terre e non ci gratificavamo il pontefice; anzi ad un certo modo 1' offendevamo e cel facevamo nemico, mostrando di non apprezzare la sua persona, ma quella di Cesare; la quale per ciò non estimerebbe tanto questa dimostrazione, che, nel maneggiar della pace con lui, ci avesse rispetto maggiore che non avendola fatta. In questo veramente, sebben parimente restavano privi di Ravenna e di Cervia, nondimeno si acquistava la grazia del pontefice, e 1’ invitavamo a riconoscere il beneficio e a gratificarsi con noi nelle occasioni che porterà il maneggio della pace e li avvenimenti delle cose: che inoltre dovevamo tener per fermo, che l'imperatore poco si cura dell’ accresci mento del nostro Stato; anzi per me credo, disse messer Marco, che egli abbia dispiacere della nostra grandezza, la quale volentieri vedrebbe fatta minore, e forse si allegrerebbe se ne vedesse rovinati. Al pontefice veramente, sebbene anch' egli poco si cura del nostro bene, pure fa per lui che in qualche modo siamo; e perciò è più ragionevole gratificar quello che non si duole dell’ esser nostro, che quello che si rallegra del nostro male.