183 Addì venti di novembre, nel Senato si lessero lettere da Cremona, per le quali s’intese che il pontefice aveva con un breve domandato al duca alcuni pezzi d’ artiglieria per mandarli all’ impresa di Toscana : che messer Gabriele aveva comunicato al duca solo la deliberazione del Senato di Ravenna e di Cervia, e che l’aveva intesa con sommo piacere e aveva detto: al presente, segua quello che si vuole, tutto il mondo intenderà che dai Veneziani non si manca di far pace. Da Ferrara s’intese, che ivi non sapevasi che in Bologna si ragionasse delle cose del duca, perchè Y imperatore era occupato in quelle dei Veneziani. Da Firenze, che i Fiorentini erano più che mai animati alla difesa della loro libertà contro l’assedio del pontefice, purché in qualche parte fossero aiutati dalla Signoria di Venezia; che avevano patito un assalto dai nemici, e la città s’ era subito messa in arme, e aveva risposto sopra la muraglia con artiglierie, colle quali credevasi essere stati morti molti dei nemici; e che un palazzo di messer Jacopo Salviati era stato bruciato e spianato ; che parte del popolo aveva voluto rovinarne un altro del pontefice; ma la Signoria di Firenze si era frapposta. Da Bologna furono avvisi, che messer Andrea Doria s’ era partito di lì, sì per 1’ aria che gli nuoceva, come per la nuova che un Fortuno Corsaro aveva fatto rappresaglia di sei galee sottili genovesi: che messer Antonio da Leva con venticinque gentiluomini milanesi era venuto a Cesare, dicendo di avere inteso che Sua Maestà aveya concesso al duca di Milano che potesse venire a lei ; onde sospettavano che la volesse investirlo di quello stato ; la qual cosa quando avvenisse, seguiria la rovina di tutta quella nobiltà: che saria meglio per quella e per tutta Italia, che fosse posto in stato Massimiliano Sforza, fratello del duca Francesco. A questo avere risposto Cesare: che non negava