202 non vi era parte alcuna che avesse bisogno di maggior luce; che il tardare di scrivere all’oratore e di farlo certo del volere della Repubblica circa i capi della pace, era pericoloso; essendo uscito di bocca di persone degne di fede in Bologna, che il pericolo che la pace non si facesse, stava nell’ indugio. Rispose messer Alvise Mocenigo e disse: che era falso che da Bologna non si potesse aver maggior luce, dopo che Cesare avesse inteso la deliberazione della lega; perciocché era da credere che, uditala, non farà altra replica di voler danari per l’interesse suo della guerra, e concluderà la pace senza che messer Gasparo vada più a persuaderla, come vogliono le lettere proposte dai due Savi grandi. Appresso, che se si delibererà il differire, con maggior consiglio rimanderebbero i capitoli castigati all’ oratore; i quali ora volevano mandare non pienamente acconci, per il poco tempo che il Collegio aveva avuto di consigliarli. Gli rispose messer Leonardo Emo colla replica delle stesse ragioni del Gradenigo, e vi aggiunse: che tutti i capi corretti erano stati molto considerati nè avevano bisogno di maggiore consiglio, come sapeva il clarissimo Mocenigo, volendo confessare il vero: che allo Stato tornava di fare intendere di giorno in giorno all’ oratore 1’ animo della Repubblica; conciossiachè, se l’oratore era tenuto dare avviso dei maneggi di Bologna ogni giorno, per informare meglio il Senato nelle sue deliberazioni, era molto più ragionevole scrivergli ogni giorno per sua maggior cognizione, ovvero così spesso che l’occasione portava. E ballottate le opinioni, fu presa quella dei due Savi. Ai due di dicembre si chiamò il Senato, e furono lette lettere da Bologna dei ventotto del passato, per le quali l’illustrissima Signoria era avvisata: come l’oratore si era trovato col pontefice nel momento che gli oratori francesi partivano da Sua Santità; i quali, come ella gli disse, erano stati per dimandargli l’assoluzione del giuramento