233 oppugnamur a nostris; perchè la difficoltà che patisce la Repubblica nelle cose ecclesiastiche, nasce dai nostri prelati, e massime dai maggiori, cioè dai cardinali veneziani; li quali avrebbero operato secondo il disegno del pontefice, se non fosse arrivato in questa città l’ambasciatore del Turco, mandato da Dio in questi tempi, che aveva messo in gelosia e bisbiglio tutti quelli che negoziavano la pace, e massime i cardinali; per cui erano concorsi alla conclusione, procurata con quella modestia e destrezza del nostro oratore, che ho rammentato.il che conferma la venula presente in questa città del vescovo di Verona, Giberti, creatura del pontefice; il quale ci apprescntò un breve di raccomandazione e di credenza circa alcuni particolari, che si sarebbero poi dichiarati da lui a bocca, come da persona che intendeva gli intimi segreti di Sua Santità. Ma per confrontare le cose e venire in luce della verità, la Signoria Vostra si dee ricordare, che nei giorni precedenti venne in Collegio il Legalo, e presentò una lettera d’ un segretario del pontefice, data in Bologna, per la quale viene affermato costantemente, essere impossibile di concludere questa pace, senza che prima si sodisfaccia alle tre richieste pontificie ( che sono le sopra scritte ); la qual lettera, volendo egli lasciarla in Collegio, gli fu resa, asserendo: che non occorreva altra deliberazione del Senato, essendo esso risolto di non volere per modo alcuno assentire alle dimande del pontefice: e così gli fu data licenza. Questa venuta del Legato in Collegio ci aveva chiariti di ciò che aveva da dire il Giberti vescovo di Verona, colle lettere credenziali. Ma 1’ uno e 1’ altro, intesa la venuta di Gianus Bei, si erano ammutiti; e la pace era seguita dipoi, senza dubbio per paura che tal venuta non avesse portato loro qualche impedimento. Onde voglio concludere, questa domanda di obbedienza del pontefice non essere per altra cagione, che per rimuoverci dai nostri disegni, e indurne ai suoi voleri circa le tre sopradette prò- Voi. VII. 30