155 della illustrissima Signoria; prima, perchè vi è poca differenza dall' utile che si può trarre da queste città, al tributo che in compenso vi promette di dare ogni anno: anzi, se meglio si considera, questo partito sarà di maggior benefizio e di mauco fastidio alla Chiesa; dipoi, perchè gli altri pontefici ce le hanno lasciate tenere senza farne conto, come chiaramente si vede pel lungo tempo che le abbiamo possedute; onde pare alla nostra Repubblica di avere ragione di conservarle, e di non si lasciar spogliare di esse, come di cosa che le è stata lasciata dalli nostri padri e maggiori »; soggiungendo: a Vostra Santità ci dà esempio di pregarla e strìngerla per tal cosa, avendo lei fatto e facendo guerra alla sua patria Firenze, per conservare nella sua famiglia il governo di quella terra, quale lo aveva avuto di mano delti maggiori suoi per molti anni, e tuttavia I' aveva, conira quelli che cercavano privarla. Oltrediciò, quando la illustrissima Signoria nuovamente ebbe queste città, la non era in lega con Vostra Santità; chè non si troverà mai che per nome pubblico le sia stato promesso di restituirle, avendole ricevute come sue e con animo di conservarle. Che egli non negava, Sua Santità in quel tempo essersi trovata in prigione, e che allora le fu detto a nome della Repubblica, che le dette città erano state accettate per non lasciarle cadere in mano dei nemici; e se le fu aggiunto altro, fu contro l’ordine del Senato ». Rispondendo il pontefice, disse: « quanti anni sono che voi possedete Ravenna e Cervia ? » E messer Gasparo: « forse cent’ anni o poco meno. » Rispose il pontefice: « da chi a quel tempo le aveste voi »? « Da quelli da Polenta » disse messer Gasparo. Replicò il pontefice: «quelli da Polenta da chi le ebbero? non le riconoscevano dalla Sede apostolica?» Disse l'oratore « Beatissimo Padre, se le cose degli stati si dovessero risolvere nel loro principio. ora non si troverebbe chi fosse vero possessore di alcuno. » A questo ragionamento il pontefice mise fine, dicendo: «ora, Domint