208 citare la venuta del suo re, pensando ch’io vi debba andare, appena vi sarà giunto: sicché intendete come le cose vanno. Quanto alla seconda proposizione, io vi dico: che è necessario che la Signoria di Venezia faccia qualche offerta, perchè a noi è stata rotta la fede contro giustizia, e i capitoli conclusi contro di noi, sono stati ritrovati in seno del re di Francia, quando fu preso sotto Pavia: sicché noi abbiamo patito assai, non per cagione dei nostri, ma per rispetto della Repubblica; e perciò bisogna che la ci ristori in parte, se non in tutto, del danno patito ». Furono poi lette lettere dell’ Oratore Veniero, appresso il duca di Milano, dei trenta del passato sino ai cinque del presente; una mano delle quali era scritta insieme con messer Gasparo Contarmi. La somma di esse era circa il negozio del duca Francesco colli cesarei, i quali instavano sempre sopra i ducati trecentomila, oltre i cinquecentomila perla investitura dello Stato; e sopra la voglia di ritenersi le fortezze, massime di Milano e di Como, sino a pagamento compito. Le quali fortezze il duca non poteva negare a Sua Maestà; ma ben pregava la Signoria nostra a non voler per niun modo assentire che restassero nelle mani di Cesare, acciò succedesse la pace, la quale, egli pensava che mai altrimenti avesse a succedere. Da Firenze vi furono lettere dei ventotto del passato, ritenute sino ai trenta; per le quali l’oratore, messer Carlo Cappello, scrive della prontezza d’animo dei Fiorentini, la quale ogni di si faceva maggiore. Essi avevano detto: « Sebbene il principe di Orange sia giunto con denari e con gente, e perciò i nostri nemici siano fatti più forti e animosi; e sebbene sia fama che i Veneziani si abbiano ad accordare col papa e coll’imperatore, onde noi resteremo soli: nientedimeno non abbiamo nè paura nè timore; essendo scolpito negli animi nostri di mettere tutte le facoltà e la vita per difesa di questa città; e quando non potremo far altro, di-