16.'i male informala di questa cosa; conciossiarhè non si troverà mai che l'illustrissima Signoria spogliasse il pontefice delle dette due città ; e conseguentemente non si potevano chiamare spoglio nelle nostre mani, come ha detto la Vostra Maestà. Imperocché il pontefice era prigione nel castello di Roma, quando quelli di Ravenna e quelli di Cervia vennero alla Signoria che la volesse abbracciarli, ricorrendo essi a quella, come a vecchio nido c a madre antiqua. L’illustrissima Signorìa dunque, ricordevole delle ragioni che ba da tanti e tanti anni in queste città, inan/i che la Chiesa le possedesse, accettollc come cosa sua, ed ora non altrimenti si persuade tenerle e possederle ». In questa cosa l'oratore si diffuse assai, facendogli intendere particolarmente le nostre ragioni e aggiungendo che Sua Maestà , per alcun patto che avesse col pontefice, non era obbligata di farlo investire di queste terre, non essendo quelle sue nè della Chiesa ; e sorridendo gli disse : « lo spero, che cosi come Vostra Maestà tiene ragionando meco le ragioni del pontefice , parimente, parlando col pontefice, difenderà le ragioni dell’illustrissima Signorìa, che sono amplissime e verissime ». Rispose l'imperatore: « Dimani si darà principio a trattare la pace ». E circa Ravenna e Cervia non disse altro; e rosi, tolta licenza da lui, l’oratore si parti. Ai nove di novembre, nel Senato furono lette lettere da Bologna del nostro oratore messcr Gasparo Contarinl, per le quali scrive: come era stato col vescovo Vasionense, maestro di casa del pontefice (1), ed insieme per lungo spazio avevano discorso la difficoltà di Ravenna e di Cervia; e in fine aveva da lui inteso, che II Pontefice era più fermo e duro che mai di volere al tutto le dette città; talmente che non seguirebbe la pace, senza lo restituire di quelle (I) Girolamo Schio, »icentino, retcoro di VaMaa ael contado di Avignone. datario e maetlro di caia del papa Cleroentr VII. dal quali* fu adoperalo con buon eailo io molli difficili necort dentro a fuori d'Italia.