225 gnoria, dalla quale per sovvenzione fossero dati ducati duemila. E che appresso si eleggesse similmente un ambasciatore al sommo pontefice, il quale avesse a far residenza, in luogo di messer Gasparo Contarini, con ducati d’ oro centocinquanta al mese; e che se ne eleggesse un altro presso a Cesare collo stesso salario. E così fu deliberato; ma fu contradetto prima da messer Alvise Gradenigo, il quale affermava: che per questa deliberazione, facevasi coll’ imperatore e col pontefice maggior dimostrazione di allegrezza di quello si conveniva ad una cosa, che senza dubbio sarebbe dispiacevole al Turco; e tanto più che la si faceva sul volto del suo ambasciatore, il quale ora si ritrovava in Venezia: che sarebbe migliore consiglio lo espedire inanzi e dar licenza a questo ambasciatore turchesco, e poi eleggere li quattro nostri oratori. Gli fu risposto da Leonardo Emo, Savio del Consiglio, ch’era in settimana; e le ragioni furono le infrascritte. La prima, che all’ambasciatore del Signor Turco, venuto in Collegio, era stata dal serenissimo principe comunicata la conclusione della pace, e dichiarata la necessità pubblica di questo effetto; perchè la Signoria nostra era rimasta sola, abbandonata da tutti i principi d’Italia, e dal re di Francia; e il duca di Milano, unico fra i nostri confederati, si era anch’egli accordato coll’imperatore. Sicché la Signoria fu sforzata anch’ essa di provvedere alla conservazione dello stato suo; per la quale dovette restituire al pontefice le due città che teneva nella Romagna, e le tre che possedeva nel Reame all’ imperatore. L’ altra, che per l’opinione di messer Alvise Gradenigo dimostravamo d’ essere malcontenti di questa pace; conciossiachè, se si aveva rispetto al Turco nel rallegrarsi coi principi, coi quali era stata conclusa la pace, mollo maggiore rispetto si avrebbe dovuto avere di fare la conclusione della pace medesima, che di rallegrarsene, dopo fatta, con loro. Poi disse: il magnifico messer Alvise Mocenigo, quantunque non abbia ancor Voi. VII. 29