DI GIOVANNI MICHIEL. 1575. 371 il governo di Lione (1). Questo è aborrentissimo della pace, contrario quasi a tutti gli altri consiglieri ; il che gli accresce 1’ odio. Fa molto l’affezionato e obbligato a questa repubblica, memore della condotta generale, che si trattò già di tutta la casa sua per ridurla a questo servizio. E dice liberamente che quando non potrà vivere in Francia, non vuol vivere altrove che in questo stato. Insomma è persona da farne gran stima. Il che sarà il fine di quanto m’occorse dire delle cose di quel regno. Mi resta, Serenissimo Principe, dar relazione alla Serenità Vostra di quello che per il suo servizio deve apportarle non meno allegrezza e consolazione di quello che le porta onore e ornamento. Si trova Vostra Serenità in Francia per ambasciatore il clarissimo messer Giovan Francesco Morosini, con la casa e persona del quale sebbene io da lungo tempo abbia molli e strettissimi legami, nondimeno non mi trasporta punto l’amore nè l’affezione (benché questa sia grande) in rendergli in questo luogo quel sincero testimonio che sopra la coscienza mia son tenuto, dell’ ottimo servizio che dalla persona sua l’è prestato in quella corte; avendolo io trovato in una casa onoratissima, tappezzata e ornata mollo più di quello che abbia veduto nè in quella nè in altre corti, con famiglia non solo numerosa ma splendida e ornatissima, avendola, per 1’ occasione dell’andata nostra, vestita tutta di livrea tutta di veluto, certo di gran prezzo, niente inferiore alla nostra, siccome per l’innanzi ne avea fatte dell’altre; con bellissima stalla, bella tavola, benissimo servita, con concorso, oltre a molti francesi, d’altre nazioni, di cui abbonda la corte, e particolarmente della nostra italiana, che pur sa ognuno pratico di là quanto sia copiosa e frequente nella casa degli ambasciatori nostri. Ma, che più importa, 1’ ho trovalo, mediante la sua amabilità , prudenza e giudizio, e la vita sua religiosissima , certo con singoiar esempio, in tanta grazia e reputazione ap- (1) «Accepta le chapeau en dépit de lui, par ce, disait-il, qu’il n’était pas bien né ni adextré a far tutte queste gentilezze e cerimonie ecclesiastiche : usant de ces mêmes mots, encore d’un autre plus étrange, qu’il n’est pas bienséant de dire pour la révérence de la religion, o (Brantôme, III, 420, 431).