DI FEDERICO lìADOEHO 329 Onde al partir mio lasciai questa Serenissima Repubblica in quella riputazione maggiore appresso S. M. Regia e tutta la corte che dir si possa ; ed è anco stato caro e estimato non solo dall’ Italia ma da tutta la cristianità, che non potendo la Serenità Vostra accordare il pontefice e il re di Spagna, ponesse la sua autorità in far che Roma non perisse. D’ altri negozi che ho trattati non m’ accade far parola alcuna, se non che con la grazia di Dio ho avuto tutte quelle buone e preste risoluzioni che V. S. desiderava. Questo solo non mi pare di pretermettere, che vedendo io li ministri di S. M. Regia dare quel basso titolo d’illustrissima Repubblica a questo Serenissimo Stato, e in tutte le espe-dizioni usar anco parole non convenienti nè degne, mi dolsi col signor Ruy Gomez nei miei ragionamenti ; e nel legger insieme le espedizioni che mi dava la Serenità Vostra, venne in parte in cognizione di quello che si conveniva ; onde la Serenità Vostra d’ allora in poi è con molto maggior dignità nominata nelle scritture e con la viva voce. Ho anco tutte 1’ ore affaticato lo spirito in tenerla avvisata di tutti gli accidenti e successi della guerra, delle trattazioni di pace, conclusioni di tregue, rotture loro, e d’ogni altro importante nogozio dell’una e dell’altra ' Maestà. Ho poi sostenuto continue fatiche e travagli, tra’ quali uno fu quando l’imperadore e il re, con tutti li principali della corte, per il gran pericolo della peste uscirono da Brusselles, e un altro quando gravemente fui molestato dal male della pietra. Dall’ Imperadore non fu a me nè ad altro ambasciatore fatto alcun dono, ma questa coppa di peso dì mille scudi mi mandò il re di Spagna. Se la Serenità Vostra mostrerà verso di me la benignità sua ordinaria, come in così fatti casi ha fatto ad altri ambasciatori, donandomi questo a lei Voi. Vili. 42