RACCONTI POLITICI DELL’ALTRA PACE è il trattato. Nulla fuori del trattato — nè la politica estera nè quella interna nè quella finanziaria. Tutto dentro il trattato — le alleanze, gli accordi commerciali, gli impegni militari. Nulla contro il trattato — nè i partiti, nè lo Stato Maggiore, nè la cultura e il giornalismo. Sancta sanctorum di un futuro immodificabile, base stabile di un prestigio indiminuibile, meccanismo espansivo di una forza in aumento costante, il trattato è da ora per la ricca, sazia, felice e stanca Francia la sede voluttuosa, depositaria, oltre che generatrice, di ogni bene vicino e lontano, entro cui lo spirito « borghese » di questa grande nazione egoistica per eccellenza si placa, si sdraia, si assopisce e si diluisce. Millerand è stato eletto Presidente perchè, dopo Clemenceau, egli ha come nessun altro interpretato il vero stato d’animo, il vero ideale, la vera volontà di tutti i Francesi: riposarsi nel trattato, dimenticare il dolore, addormentarsi sulla gloria, chiudersi nelle nuove frontiere, passare al nemico il conto da pagare — e godere. Millerand è colui che più o meglio sa illudere la Francia vincitrice e stanca, la quale vuol ricominciare a vivere molto comodamente, e non sentirsi richiamare troppo spesso al senso ed all’esercizio della responsabilità che s’è assunta imponendo il trattato folle. Millerand le ha detto di non preoccuparsi, di deporre il bel capo femmineo e giacobino di fille merveiU leuse sul trattato: la sua vittoria le sarà pagata con tante gocce d’oro quante essa ne ha date di sangue: la sua pace sarà lunga e facilmente fecon- 362