LA FIERA DELLE ILLUSIONI Il mio Amico, che mi dà del tu quando siamo soli accettando con semplicità che io continui a parlargli con i riguardi dell’inferiore al superiore prescelto, è attirato fortemente a questo eccezionale luogo denso di presenza napoleonica. — « In fondo, egli stava bene in questa casa, in campagna, tra giardino e biblioteca; la sposa nell’appartamento comune, il capo di casa nelle sue stanze, nel suo spazio, vicino e lontano, presente e assente. Ma guarda lo scrittoio, la poltrona; come capisco che doveva essere suo, tutto ciò. Guai a chi toccava le sue cose e le sue carte... » — E sorride. Giriamo in lungo e in largo per le grandi sale e per le piccole camere. Siamo i soli visitatori. Il custode ci segue a pochi passi, dopo di avere accolto malvolentieri la nostra calorosa preghiera di non darci le solite spiegazioni. È un veterano del *70, caratteristico e burbero, sussiegoso e vivace. Non capisce troppo quel nostro andare e venire, su e giù nell’augusta casa privata, in quel silenzio intimo e squallido al tempo stesso, in quell’atmosfera che ancora denunzia l’Ospite recente. Brontola e gesticola da solo, allargando di tanto in tanto le braccia, e portandole all’altezza delle spalle, con il tipico gesto dei Francesi del popolo, quando qualcosa non va loro a genio: ma sì, i Francesi mormorano e si lagnano con le braccia. Il mio Amico s’è fermato davanti agli oggetti d uso di Napoleone. Su un tavolo c’è il cappello nero a bicorno, quello di tutte le stampe. Su un tavolino, sotto un vetro, un fazzoletto che lasciò, partendo, proprio in quel posto; una tabacchiera e dei guanti 25